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Cronaca
"La tachipirina spezzata sul petto". Un paziente del San Raffaele racconta i suoi "tre gio...
Oggi 15-12-25, 15:12
AGI - “È arrivato un infermiere con una pastiglia di tachipirina tra le mani nude, senza guanti. Me l’ha messa sul petto e l’ha spezzata in due. In quel momento stavo molto male, poi ho messo a fuoco i rischi per un paziente immunosoppresso come me”. La voce al telefono da casa arriva ancora molto affaticata per gli strascichi di una pesante mononucleosi. D.U., 45 anni, è stato al pronto soccorso del San Raffaele il 7 e l’8 dicembre e poi ricoverato nel reparto di medicina ad alta intensità dove ha vissuto i giorni del caos quando, secondo diverse testimonianze e mail interne tra medici, gli infermieri di una cooperativa esterna avrebbero messo a “elevatissimo rischio” la salute dei pazienti a causa della loro impreparazione. Su quanto accaduto è in corso un’indagine della Procura di Milano, al momento senza ipotesi di reato né indagati. "La tachipirina spezzata sul petto" Quello della tachipirina spezzata sul petto è solo uno degli episodi della degenza. “Ero nel reparto di medicina ad alta intensità al terzo piano - racconta in un'intervista all'AGI -. L’8 sera un’infermiera mi somministra il paracetamolo e poi l’antibiotico. Quando finisce la terapia chiamaci, mi dice, ma fino alle 20 non ho visto più nessuno. Alle 20 sono arrivati due infermieri specializzandi, hanno fatto il giro di controlli per la pressione, sono venuti da me e mi hanno annunciato che mi avrebbero dato il paracetamolo. ‘L’ho fatto un’ora fa’, gli ho detto, ma loro hanno risposto che non gli risultava". "Il mutuo soccorso tra i pazienti" "Già al pronto soccorso, la notte prima del ricovero, noi in attesa di essere visitati sentivamo gli infermieri parlare delle notizie sul San Raffaele. Quando la febbre è scesa e stavo meglio, ho cercato in google con le parole ‘caos al San Raffaele’ e ho letto che alcuni pazienti denunciavano di avere ricevuto dosi dieci volte superiori a quella consentita. Ho cercato di restare il più possibile vigile e così ha fatto anche il mio vicino di letto. Ci aiutavamo a vicenda, in base a come stavamo. Il termometro che non suona Il 9 mattina, prosegue la narrazione, “mi portano in reparto per cambiare la flebo ma per un’ora non si vede nessuno. Arrivano due infermiere sudamericane. Una non riesce a far partire la macchina della pressione, interviene l’altra che la misura e mi rassicura che i valori sono buoni. Ma sento la febbre, apro il cassetto e prendo il termometro. Lo infilo sotto al braccio e, dopo due minuti, lei mi dice ‘toglilo, ha suonato’. Le spiego che quel tipo di termometro non suona. Sono molto stanco. Mi accorgo, dopo che se ne sono andate, che l’infermiera ha lasciato la macchina della pressione accesa, ogni 5 minuti andava in allarme e gonfiava il braccio. Per fortuna sono un informatico e sono riuscito a disattivarla”. Poco dopo arriva “l’infermiere egiziano” che spezza la tachipirina sul suo petto "e poi è il turno di altri due infermieri che vogliono darmi il paracetamolo”. ‘Me l’avete dato due ore fa!’ protesto. Controllano e vedono che l’infermiere egiziano non aveva segnato di avermelo dato”. Uno spiraglio di luce Nella notte tra il 9 e il 10 “le cose vanno bene”. “Arriva Francesco, il primo infermiere italiano, è a gettone. Dice che a breve andrà a lavorare in una rsa perché lì non ce la fa più a lavorare. È il primo spiraglio di luce: ha un’esperienza di 20 anni, è preparato”. I letti invertiti Il 10 l’ultimo episodio. “Gli infermieri vanno dal mio vicino e gli vogliono dare il paracetamolo, lui gli spiega che sono io quello che ha la febbre. Hanno invertito i letti”. "Non mi rivedranno mai più" Siamo all’11 mattina, giorno delle dimissioni: “Io sono nato e cresciuto qui, col culto del San Raffaele ma non mi vedranno mai più. Nella stanza a fianco della mia c’erano tre anziane, chissà se loro hanno avuto la lucidità di accorgersi di eventuali sbagli”. Si commuove pensando al suo vicino di letto: “È ancora lì, ci sentiamo tutti i giorni. Ci siamo promessi che saremo amici per la vita. Ho deciso di parlare perché spero che il mio racconto serva a riflettere su come la nostra sanità è ridotta”.
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