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Politica
Referendum, sconfitta e polemiche tra progressisti e riformisti
Oggi 10-06-25, 00:50
AGI - Il quorum non c'è, la sconfitta è innegabile. Tuttavia quei circa 15 milioni di votanti, sebbene non tutti di centrosinistra, rappresentano un buon 'blocco' di partenza per la corsa alle politiche. I leader del 'tridente' Pd-M5s-Avs lo spiegano quasi in coro e, con loro, i rispettivi gruppi dirigenti. "Avremmo voluto che si raggiungesse il quorum per i tanti lavoratori in difficoltà che avrebbero potuto riappropriarsi di alcune tutele e difese", dice il presidente Cinque Stelle, Giuseppe Conte, "ma considerate che è lo stesso numero di votanti (anzi alla fine potrebbero essere anche di più) con cui la maggioranza Meloni è arrivata al governo". Stesso mood dalla segreteria del Pd: "Hanno fatto una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico di questo voto, ma hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022", sottolinea la segretaria lanciando apertamente una sfida alla premier: "Ne riparliamo alle politiche". Elezione di Pietro Bitetti A motivare tanto ottimismo, oltre ai 15 milioni di votanti del referendum, c'è l'elezione di Pietro Bitetti a Taranto che porta il risultato complessivo della partita delle amministrative a 6-2 per il centrosinistra. Al di là di questo dato, però, la sconfitta dei quesiti referendari riaccende le polemiche tra progressisti e riformisti, anche nel Pd. Riccardo Magi, segretario di Più Europa e tra i promotori del referendum cittadinanza, si toglie il sassolino che ha tenuto nelle scarpe fin dall'inizio della campagna referendaria quando ricorda la posizione di Giuseppe Conte e del M5s sulla legge per la cittadinanza. "Nessuno ha più visto lo Ius Scholae e lo Ius Italiae. Si è passati allo Ius niente. Dove stanno le proposte? A chi dall'altra parte, come i progressisti indipendenti - che per me sono indipendenti dal progressismo - dicono che bisogna lavorare sui tempi delle procedure" per l'ottenimento della cittadinanza "dico che sono stati portati da 2 anni a 4 anni dal governo Conte-Salvini e poi rimasti a 3 anni", aggiunge Magi dopo aver rivendicato anche lui il dato del numero dei votanti superiore a quello della somma dei voti dei partiti che sostengono il governo Meloni. Polemiche interne al Pd E dentro il Partito Democratico è l'ala riformista 'dura e pura' a tornare ad attaccare le scelte della segretaria Schlein. La vicepresidente del Parlamento Ue parla fuori dal coro di "sconfitta profonda, seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre". Un attacco alla linea di Schlein sul Jobs Act che i primi tre quesiti referendari volevano abrogare. "Fuori dalla nostra bolla c'è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri", chiede Picierno. Una 'lettura' che collima con quella di Matteo Renzi: "Il referendum non ha raggiunto il quorum, come facilmente prevedibile. I quesiti sul lavoro erano ideologici e rivolti al passato. Spero che sia chiaro che per costruire un centrosinistra vincente bisogna parlare di futuro, non di passato". Consenso interno nel Pd Nonostante questo, il consenso interno nei confronti della leader dem sembra reggere. "Elly Schlein quando è partita aveva il Pd al 14% e quattro regioni; ora le regioni sono 6 e il Pd alle europee è andato al 24%, lo segnalo a chi fa le analisi", sottolinea il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia. Nessuna 'spallata' a Meloni, dunque, ma nemmeno terremoti interni al centrosinistra, come spiega un alto dirigente dem. Le posizioni in campo prima e durante la battaglia referendaria si conoscevano, è il ragionamento, e il mancato raggiungimento del quorum, così come le dichiarazioni dei vari leader che lo accompagnano, non cambieranno gli equilibri. Si continua a lavorare sulla base delle realtà locali, viene spiegato, ora e in vista delle prossime regionali. Poi, si ragionerà anche di elezioni politiche. Un appuntamento che Schlein ha già segnato in rosso, tanto da mettere in guardia Meloni: "La differenza tra noi e la destra di Meloni è che oggi noi siamo contenti che oltre 14 milioni di persone siano andate a votare, mentre loro esultano perché gli altri non ci sono andati. Ne riparliamo alle prossime politiche". E lì, aggiungono Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, "non ci sarà un quorum a salvare Giorgia Meloni".
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