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Cultura e Spettacolo
Sulla corazzata «Missouri» l'ultimo atto della seconda guerra mondiale
02-09-2024, 16:38
AGI - Un impressionante sciame di centinaia e centinaia aerei da caccia in formazione sorvolava continuamente la corazzata USS Missouri il 2 settembre 1945 durante la cerimonia di firma della resa incondizionata del Giappone agli Alleati. Tutto era fortemente simbolico quel giorno, che per gli anglosassoni era il VJ-Day: dopo le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l'ennesima dimostrazione di forza che aveva distrutto la potenza militare nipponica, ridotto in cenere due città a titolo dimostrativo e avrebbe debellato l'impero se non si fosse piegato alla resa incondizionata. La Missouri era una nave da battaglia superba, ammiraglia della 3ª Flotta statunitense, apparteneva alla categoria degli scafi attaccati e colati a picco a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941, era il nome della nazione del presidente Harry Truman, e il giorno prima era entrata autorevolmente nell'inviolata Baia di Tokyo. Il 2 settembre era stata circondata da una gigantesca flotta con la bandiera a stelle e strisce, con almeno una dozzina di portaerei. Monito eloquente che il Giappone non aveva scampo, neanche col previsto ricorso a migliaia di kamikaze pronti a immolarsi per la Patria e per l'imperatore. La cerimonia di resa come in un set cinematografico Per un giorno la Missouri era diventata un set cinematografico, per immortalare da tutte le angolazioni e da tutti i punti di vista la firma sulla definitiva conclusione della seconda guerra mondiale, con la sconfitta dell'ultima delle nazioni che l'avevano provocata: l'Italia era stata piegata nel 1943, la Germania annientata a maggio 1945 ma l'impero nipponico aveva resistito fino a metà agosto, determinato a resistere dappertutto e fino all'ultimo se non avesse conosciuto sulla sua pelle l'olocausto nucleare. Sulla Missouri il protocollo diplomatico venne rispettato in tutta la sua solennità, perché più ci si atteneva alle regole della civiltà giuridica e del diritto internazionale, più bruciante sarebbe risultata la capitolazione del Giappone, che non aveva mai perso una guerra e non era mai stato invaso. Il diplomatico Mamoru Shigemitsu si era presentato a quella cerimonia, umiliante per lui e per il suo Paese, secondo quanto previsto dal cerimoniale, vestito all'occidentale, con cappello a cilindro. Era mutilato di una gamba, amputata nel 1932 per le conseguenze dell'attentato di un nazionalista coreano, e camminava aiutandosi a un bastone che sosteneva un arto artificiale. Nel biennio di guerra 1939-1941 era stato ambasciatore a Londra. La nomina a ministro degli esteri era arrivata il 17 agosto 1945, quando già il Giappone aveva deposto le armi. A lui il compito di suggellare la resa incondizionata che salvava solo la figura dell'imperatore Hirohito, sacrificandone però l'anacronistica natura divina. Oltre alle telecamere e agli obiettivi posizionati dappertutto con professionalità hollywoodiana, sulla corazzata gremita chiunque possedesse una macchina fotografica o una piccola cinepresa non aveva risparmiato quel giorno la pellicola. Shigemitsu, accompagnato dal generale Yoshigijro Umezu, aveva apposto la sua firma sulla pergamena, davanti al generale Richard Sutherland in piedi davanti a lui, chiudendo un'epoca e aprendone un'altra. Il ruolo di Stalin e il discorso alla radio di Hirohito Il Giappone nell'estate del 1945 aveva sperato di avvalersi della mediazione sovietica per giungere a condizioni di pace accettabili, o comunque negoziabili rispetto ai proclami degli Alleati di resa incondizionata ribaditi nella Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945). Tokyo confidava su una disponibilità di Stalin considerando il patto di non aggressione nippo-sovietico sottoscritto a Mosca il 13 aprile 1941, con validità quinquennale, e che proprio questo aveva consentito all'Urss di poter riversare ogni risorsa militare nel fronteggiare la Wehrmacht di Hitler senza dover combattere su due fronti. Stalin da un lato aveva temporeggiato con gli Alleati nell'entrare in guerra contro il Giappone (si era impegnato a Jalta a farlo entro tre mesi dalla sconfitta della Germania), dall'altro aveva ben chiari gli obiettivi politici e di espansione territoriale, attendendo solo il momento giusto per attivare i suoi piani. Il momento arrivò dopo l'esplosione della prima atomica americana, il 6 agosto a Hiroshima. L'8, in violazione del patto di neutralità, dichiarò guerra al Giappone e l'Armata Rossa attaccò il Manciukuò e le Isole Curili. Per l'impero nipponico era scattato il conto alla rovescia. Il 15 agosto Hirohito faceva ascoltare per la prima volta al suo popolo la sua voce con un proclama alla radio in cui annunciava la resa e il 28 il comandante supremo alleato Douglas MacArthur procedeva all'occupazione militare. L'esito del conflitto sarebbe stato consacrato con i crismi del diritto internazionale con la cerimonia protocollare sul ponte della corazzata che era la nave ammiraglia della flotta statunitense. Il destino della nave e quello del ministro Shigemitsu L'USS Missouri (BB-63), varata nel 1944 da Mary Margareth Truman, figlia dell'allora senatore dello Stato che sarebbe diventato nel 1945 trentatreesimo presidente degli Usa, è anche l'ultima corazzata costruita nei cantieri americani. Lunga 270 metri e con una stazza di 58.000 tonnellate, verrà impiegata per l'ultima volta su uno scenario bellico nel 1990, nella prima guerra del Golfo, per essere radiata nel 2009 e diventare una nave-museo a Pearl Harbour. Nel punto esatto in cui Shigemitsu aveva firmato la resa del Giappone era stata posizionata una placca commemorativa. Il diplomatico giapponese venne processato come criminale di guerra e condannato a sette anni di reclusione. Rilasciato nel 1950, verrà richiamato in servizio e nel biennio 1954-1956 rivestirà il ruolo di ministro degli Esteri. Morirà sessantanovenne nel 1957.
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