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Il ritorno di Massimiliano Allegri al Milan
Oggi 07-07-25, 15:15
La scelta di Allegri è insieme un messaggio e un’ammissione di colpe. Basta con gli esperimenti, si torna indietro a chi ha sempre lasciato i fronzoli fuori dalla porta preferendo la concretezza. L’Allegri 2 comincia nel giorno in cui Theo Hernandez firma per l’Al Hilal e già questo è un segnale, oltre che una coincidenza. Allegri chiede professionalità, passione, impegno, responsabilità, lavoro, tanto lavoro. Tutte parole che avevano poco a che fare con l’ultimo Theo ed è un peccato. Professionalità, impegno, passione e lavoro sono le parole che pronuncia più spesso nell’oretta passata a Casa Milan da dove se n’era andato il 13 gennaio 2014, esonerato dopo la sconfitta con il Sassuolo. Quindici anni fa quando era entrato per la prima volta a Milanello, nell’ultimo grande Milan di Berlusconi e Galliani, era una specie di scommessa, una di quelle giocate che piacevano molto al presidente. Vinse uno scudetto, ne perse un altro lasciandosi rimontare dalla Juve di Conte, poi riuscì a tenere a galla la barca nonostante le cessioni a raffica di quell’estate (Ibra, Thiago Silva). Oggi torna con qualche capello in meno, cinque scudetti in più e soprattutto un sacco di esperienza: “Sono cambiato tanto, ma è normale che sia così, sono le esperienze che ti cambiano. Non dico che i giovani sono più o meno bravi degli anziani, è una questione di esperienze di vita, non solo nel calcio. Tra un mese faccio 58 anni, quindi rispetto a quello che era il primo Milan, rispetto a quando ho iniziato all’Aglianese sono completamente diverso. Sono fortunato perché i quattro anni di Milan mi hanno insegnato molto e gli altri otto anni di Juventus mi hanno insegnato altre cose, ingigantendo il mio bagaglio di esperienza. Ma come dico ai giocatori non si smette mai di imparare… ma bisogna volerlo tenendo presente che il mantenimento non esiste. Se non ti migliori, vuol dire che stai peggiorando”. Al Milan sia cominciando l’era della normalità. Di fianco ad Allegri c’è un vero direttore sportivo come Igli Tare, non c’è Ibra che l’anno scorso aveva era seduto accanto a Fonseca, ma poi non lo aveva difeso sul più bello. “Bisogna essere un blocco unico, con un’unica direzione. Cerco di mettere i giocatori in condizione di farci vincere, ma la società è al primo posto, deve essere un blocco unico, un sostegno. La dedizione al lavoro deve essere al primo posto. Non servono rivoluzioni, solo lavorare con ordine”. Allegri è chiaro nel porre gli obiettivi. Non parla di scudetto: “Servirebbe a fare i titoli, ma non ha senso”. Concretezza, si diceva: “Dobbiamo partire bene e essere davanti a marzo per giocarcela fino in fondo. Io dico solo che il Milan deve tornare in Europa, anzi in Champions”. Strizza l’occhio a Vlahovic (“Ragazzo splendido”), fa i complimenti a chi c’è già (“Rosa ottima”), punta su capitan Maignan (“uno dei migliori portieri in Europa, molto brava la società a convincerlo” e su Leao (“è straordinario, farà una grande stagione”). Per lui il calcio è semplice: “Fin da quando facevo la raccolta delle figurine da bambino ho imparato che in Italia la differenza reti è la cosa che conta di più Quasi sempre in Serie A vince la squadra che prende meno gol, solo la Juve di Sarri è stata un’eccezione. Non è questione di corto muso, ma quando hai la palla devi cercare di segnare, quando ce l’ha il tuo avversario devi cercare di rubargliela e di impedire che segni. Bisogna divertirsi con grinta, questo è il mio modo di vedere le cose. L’arte nel calcio la fanno i giocatori con le loro prodezze. Quando Cristiano Ronaldo ci fece quel gol in rovesciata la gente ricorda quello, non l’azione che gli ha portato la palla”. Su una cosa è stato chiarissimo, tanto da averlo ripetuto più volte: “La stagione comincia il 17 agosto in Coppa Italia con una partita che per noi sarà già dentro o fuori”. Come ricordare a tutti che con il Bari bisognerà fare subito sul serio. “Perché quello che conta è sempre il risultato. Se vinci sei un bravo ragazzo, se perdi sei…”. Non ha bisogno di concludere la frase. Al diavolo l’eterno confronto tra giochisti e risultatisti. Ormai Max ci ha fatto il callo a sentirsi criticare per il suo gioco. Tanto lui sa che alla fine conta solo il risultato. E se tante società lo hanno cercato un motivo ci sarà. Il tempo degli esperimenti è finito. Tocca a mister Wolff risolvere i problemi a modo suo.
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