s
Sport
La caduta al Giro del Delfinato e la crudeltà della gravità
06-06-2024, 17:23
La gravità è una forza dispotica alla quale non ci si può opporre. Non in bicicletta almeno. È bizzosa e crudele come un dio greco, reclama giovani corpi, decide dei loro destini. Non c’è modo di sfuggire alla gravità quando essa reclama sacrifici. Il ciclismo è anche una battaglia, persa, contro la gravità. Ci si può ingannare di sapere come farsi beffa di lei, si può ritenersi più scaltri, pensare di essere immuni al suo richiamo. Illusioni. Vincerà lei, non c’è modo di sfuggirle. A volte la gravità si limita al richiamo a sé di singoli corridori, a volte pretende dei riti orgiastici. Come oggi al Giro del Delfinato. Mancavano circa ventun chilometri al traguardo della quinta tappa della corsa a tappe francese, la Amplepuis–Saint-Priest, 167 chilometri, quando è accaduto il patatrac. Cosa sia successo è difficile dirlo. Forse una sbandata, forse una distrazione, forse un errore di qualcuno, forse una macchia d’olio sull’asfalto. Fatto sta che qualcuno è caduto. Dietro di lui ha fatto la stessa fine almeno una cinquantina di corridori. C’erano decine e decine di bicicletta senza padrone orizzontali al terreno. C’erano uomini in piedi che si guardavano attorno, uomini distesi, uomini seduti. C’era chi si toccava una spalla con smorfie di dolore che deformavano il volto, chi si avvicinava ai doloranti chiedendo se servisse aiuto quasi a voler diluire nell’assistenza altrui il dolore proprio. C’erano gambe, schiene, spalle, fianchi, sederi, braccia scorticate, rivoli rossi su pelli abbronzati e pelli bianche. C’era stupore, tensione, incredulità, in alcuni casi rabbia. E se non fratellanza quanto meno cameratismo, reciproco soccorso fregandosene della maglia che si aveva addosso. Non contava. La gravità aveva preteso il suo tributo, erano tutti vittime, compagni, non avversari. E nel vedere tutto questo la sensazione che abbiamo provato è che sarebbe potuto andare peggio. Molto peggio. Negli occhi avevamo ancora quanto accaduto al Giro dei Paesi Baschi. Siamo stati avvolti dal timore il passato si fosse ripresentato. Oltre cinquanta corridori avevano incocciato l’asfalto. Qualcuno si era subito alzato, qualcuno ci ha messo un po’ di più, gli olandesi Steven Kruijswijk e Dylan van Baarle, entrambi della Visma | Lease a Bike, hanno lasciato il Giro del Delfinato in ambulanza. La gravità nel reclamare al suolo i corridori non ha fatto distinzioni di talento, classifica o pedigree. Capitani e gregari, cacciatori di tappe o uomini di classifica sono distinzioni che non interessano alla gravità. Già dalla bicicletta, tra i tanti, c’erano Remco Evenepoel e Luca Vergallito, Jay Hindley e Nils Politt, Hugo Toumire e Juan Ayuso. Chi non poteva mancare era però Primoz Roglic. La gravità lo reclama sempre, lo desidera, lo vuole a sé. E lui non sa ribellarsi a tutto questo. È successo una volta ancora. La corsa è stata neutralizzata. Il gruppo ha proceduto lentamente verso l’arrivo. Nessun vincitore è stato celebrato sotto lo striscione d’arrivo. La copertura sanitaria non c’era più, le ambulanze avevano portato via i feriti, le condizioni di sicurezza per continuare non c’erano più. Ha prevalso il buon senso.
CONTINUA A LEGGERE
9
0
0
Guarda anche
Il Foglio
Ieri, 17:20
I giovani di Salvini a Pontida: “Tajani vaffanculo, no ius scholae”
Il Foglio
Ieri, 15:13
A Matterley Basin, Regno Unito, si corre l'olimpiade del motocross
Il Foglio
Ieri, 14:35
Lo spirito del tempo ha presentato il conto a Francesco
Il Foglio
Ieri, 13:45
Parlare di patria è paccottiglia nostalgica e un po' fascista? Non proprio
Il Foglio
Ieri, 13:22
Le buone notizie sul lavoro che la Cgil non vuole vedere
Il Foglio
Ieri, 09:32