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Sport
L'argilla di Valentino Lazaro
24-09-2024, 17:20
Al suo arrivo a Milano – nella Milano nerazzurra, il primo luglio del 2019 – c’era un misto di curiosità e ottimismo. Su quel nome e cognome che sembravano italiani ma italiani non erano, che riecheggiavano Sud America ma che con il Sud America non avevano nulla a che fare, Valentino Lazaro, un bel po’ di tifosi dell'Inter si erano sfregati le mani. Rarità farlo per un austriaco, almeno dopo l’eclissi del Wunderteam. Avevano considerato l’ipotesi che quel giocatore velocissimo, dal dribbling esondante e capace di calciare parecchio bene, oltre che a giocare sia sulla destra che sulla sinistra, potesse essere l’esterno del futuro e perché no del presente. S’erano deliziati a vedere le sue giocate berlinesi e raffinate su YouTube. Una dietro all’altra. E per minuti, molti minuti. Perché nel biennio precedente Valentino Lazaro aveva fatto sembrare inadeguati al calcio fior fior di terzini in Bundesliga. Anche gente come il connazionale David Alaba e Achraf Hakimi erano sembrati incapaci a fermare tanta bravura calcistica. E poi, pensavano i tifosi nerazzurri, sarebbe stato agli ordini di Antonio Conte, uno che esterni del genere, capaci di attaccare difendere dribblare e correre per novanta minuti, li sa sfruttare al massimo. Sarebbe potuto essere il colpo dell’anno. Non andò così. Durò sei mesi all’Inter, Valentino Lazaro. Sei mesi, tanta panchina e pochissimo campo: cinquecentotredici minuti, nessuno da ricordare. Finì al Newcastle. Nessuno lo ha rimpianto quando se ne tornò a Milano. Poi emigrò al Borussia Mönchengladbach e al Benfica. Entrambe l’avrebbero potuto trattenere versando una cifra se non modesta quanto meno non eccessiva. Né in Germania (nonostante un colpo dello scorpione da top 11 al Puskas Award 2021) né in Portogallo ai dirigenti sfiorò l’idea di farlo. Valentino Lazaro sembrava un ectoplasma, il gemello sfigato del giocatore visto a Berlino e con la maglia della Nazionale dell’Austria. Ci credeva più nessuno in Valentino Lazaro. Almeno sino a quando qualcuno al Torino si ricordò di lui. Serviva un esterno a tutto campo e lui costava poco, anzi quasi nulla. Ivan Juric lo studiò a lungo, provò a capire perché quell’esterno che sembrava capace di tutto era diventato uno a cui non riusciva quasi niente. Ci impiegò una stagione e mezza. A picconate prima e cesellate poi, eliminò uno a uno gli strati barocchi al giocatore, lo riportò allo stato originale: pietra. Valentino Lazaro a Torino si è progressivamente, partita dopo partita, alleggerito di orpelli e stucchi inutili. Ha soprattutto preso fiducia in se stesso. E si è presentato in estate al nuovo allenatore Paolo Vanoli come mai era stato: argilla da plasmare. Si è trovato a giocare a destra e a sinistra, più avanti e più indietro, sempre però con una nuova attenzione a ciò che gli girava intorno, fregandosene beatamente di quella attrazione, sino a qualche tempo fa per lui irresistibile, di dimostrarsi migliore di quello che è. E sulle fasce ha contribuito a costruire l’avvio di stagione di un Torino che non si trovava inseguito da tutti gli altri dalla diciassettesima giornata della stagione 1976-1977. Vent’anni prima della sua nascita. Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.
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