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Economia e Finanza
Oro di Bankitalia, la Bce gela l’emendamento di FdI: "Si rischia l’indipendenza della banca centrale”
Oggi 03-12-25, 12:16
"Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al popolo italiano”. Recita così, nella sua versione riformulata, il tanto discusso emendamento alla manovra firmato dal capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, che ora è stato de facto bocciato dalla Bce. L’oggetto del contenzioso sono le 2.452 tonnellate di oro di Via Nazionale, il terzo stock ufficiale al mondo dopo Stati Uniti e Germania, oggi contabilizzate nel bilancio di Palazzo Koch. La proposta di Malan inizialmente era stata presentata così: “(le riserve auree, ndr) appartengono allo stato, in nome del popolo italiano”, per poi essere ammorbidita in una chiave lessicale più simbolica che sostanziale, forse con lo spauracchio di un possibile attrito con Francoforte che alla fine, di fatto, c'è stato, con un commento formale della banca centrale alla proposta. Nel parere pubblicato martedì 2 dicembre, la Bce nota che l'emendamento non è accompagnato da alcuna spiegazione ufficiale e sottolinea che "non è chiaro quale sia la concreta finalità della proposta di disposizione" (come già notato su queste colonne). Per questo Francoforte invita le autorità italiane a "riconsiderare la proposta di disposizione", per non mettere in discussione l’indipendenza di Palazzo Koch e delle banche centrali in generale. E anche perché tale emendamento provocherebbe il rischio di scontrarsi su un altro pilastro dell’architettura dell’euro: il divieto di finanziamento monetario agli stati (Art, 123 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea). La Bce ricorda che i Trattati non definiscono la questione in termini di “proprietà”, ma in termini di competenza esclusiva dell’Eurosistema a detenere e gestire le riserve ufficiali (art. 127, paragrafo 2 Tfue). Il punto non è quindi a chi “appartenga” l’oro in senso politico, ma chi ne controlli in modo effettivo gestione, uso e iscrizione in bilancio. In più, Francoforte avverte che se il legislatore vorrà davvero chiarire la proprietà giuridica dell’oro di Bankitalia, dovrà prima coinvolgere direttamente Via Nazionale, chiamata a garantire il rispetto dei vincoli dei Trattati e dell’articolo 130 sull’indipendenza della banca centrale. Anche i proventi dalla gestione dell’oro, osserva la Bce, possono arrivare allo stato solo attraverso le ordinarie regole di distribuzione degli utili, dopo aver garantito riserve adeguate a svolgere i compiti dell’Eurosistema. Dunque, secondo il parere dell'istituto, togliere le riserve dal bilancio di Bankitalia per spostarle allo stato equivarrebbe ad aggirare il divieto di finanziare direttamente il settore pubblico (art 123 Tfue). E ciò potrebbe costare all’Italia due procedure d’infrazione Ue: una per mancata comunicazione alla Bce su una materia di sua competenza, e una seconda per violazione del finanziamento monetario agli stati che cita la procedura. Tutto ciò si aggiungerebbe alla già avviata procedura d'infrazione per l'uso del Golden Power da parte del governo italiano. In fondo una risposta della Bce c'era da aspettarsela: ce lo dice la storia. Accadde qualcosa del genere già nel 2019, quando fu avanzata una mozione comune di Lega e M5s di interpretazione sulle riserve auree. Allora la Bce aveva già messo in guardia contro qualsiasi interferenza politica nella gestione dell’oro di Bankitalia, con un parere firmato Mario Draghi. E successe ancora prima, nel 2005, con Silvio Berlusconi premier e Giulio Tremonti ministro dell'Economia che vararono una legge non distante dalla proposta di Malan, che non fu tuttavia mai attuata e addirittura abrogata nel 2013. Oggi, di fronte alla nuova versione dell'emendamento di Malan (più patriottica nella retorica che operativa nelle conseguenze) il messaggio dei Trattati e della Bce resta lo stesso: sulle riserve si può fare solo politica simbolica e propaganda, se non mera retorica. Altrimenti si sfocia nella politica monetaria. E quella, per i Trattati, non si tocca.
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