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Altro che falce e martello: la "tenaglia" di Ruffini. E Schlein ora rischia grosso
Oggi 29-06-25, 12:18
Qualcosa, prima o poi, verrà fuori. In tempo utile per arricchire il cocktail del campo largo. Un sogno di mezza estate, sussurrato per ora a bassa voce: stemperare la caratura di sinistra/sinistra della coalizione. «Non ci vota manco un moderato, andiamo a sbattere», dicono gli sherpa dell'operazione più ambita dell'anno. Così è arrivato il momento del «fai da te», come l'operazione civica dell'assessore romano Alessandro Onorato, o la gamba «pacifista» che sarà lanciata domani. Con tre nomi di peso: l'eurodeputato, già direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio; la presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti; il vicecapogruppo dem a Montecitorio, Paolo Ciani. Nello stesso ambito, pesca anche Ernesto Maria Ruffini, quello che era partito con la fanfara e le pacche sulle spalle di Romano Prodi. Quando si dimise improvvisamente dall'Agenzia delle Entrate, apparve agli orfani della Margherita come il nuovo Messia. Poi se ne sono perse le tracce. Nel frattempo ha scritto un libro e ha formato un comitato con lo stesso nome: «Più Uno». L'ambizione deve essere ancora tanta (la creatività un po' meno): il logo è praticamente lo stesso dell'Ulivo. Insomma, un'esplosione di progetti, risultati zero. Per dovere di cronaca, va aggiunto alla lista degli intrepidi costruttori del cespuglio moderato anche Giuseppe Sala. Per il sindaco di Milano, un vecchio pallino: ci provò poco prima delle politiche del ‘22, fermato poi dalle elezioni anticipate. Abortito il più recente tentativo, comunicò la sua disponibilità al Nazareno, senza ottenere risposte. Gli allenatori in tribuna sono due vecchie volpi; impossibile che l'impresa fallisca: Goffredo Bettini e Matteo Renzi. Il guru del Pd è stato il primo in assoluto a teorizzarlo: cattolici e liberali devono farsi il loro partito e poi allearsi con le forze di sinistra. Lo stesso schema, un ritorno al passato: DS e Margherita. Insomma, «divisi si vince», un mantra che non dispiace neanche a un altro «ingegnere»: l'ex ministro Dario Franceschini. Bettini, dentro al Nazareno, gioca da «fantasista»; i rapporti con Elly Schlein non sono un granché, ma qualche pedina però ancora la muove. Già, la segretaria del Pd è protagonista e vittima del lunghissimo dibattito sulla gamba moderata. Protagonista perché, alla fine, dovrà essere lei a dare l'approvazione finale. Vittima perché l'operazione nasce sulla sua «debolezza». Tanto che, in un primo momento (l'autunno scorso), Romano Prodi teorizzava la necessità di mettere in campo un federatore in grado di contenderle la leadership del campo largo. Più facile a dirsi che a farsi; alla fine, un nuovo Francesco Rutelli non è spuntato da nessuna parte. In cattedra, per comprovata esperienza, c'è Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva ha piegato a suo favore due risultati elettorali: la sconfitta in Liguria, dove Giuseppe Conte lo escluse all'ultimo minuto, causando la sconfitta di Andrea Orlando per una manciata di voti. E la vittoria a Genova con la sindaca Silvia Salis in versione campo largo extra large. «L'unico modo per battere Giorgia Meloni», la ricetta dell'ex Presidente del Consiglio. L'idea che torna è una sorta di listone nazionale, senza simboli di partito, che valorizzi la parola: Centro. Il sogno degli sherpa (e di Goffredo Bettini) è staccare la minoranza Pd, attrarre al nuovo progetto nomi di richiamo, tra parlamentari (soprattutto al terzo mandato) ed eurodeputati. L'esca indubbiamente è efficace: tanto Elly non vi candida. Il vero problema è che tutti i bonsai nati in laboratorio in questi giorni sono fortemente divisivi, soprattutto privi di un'identità condivisa. Il nome del federatore resta un rebus. Una lotta contro il tempo: riusciranno i nostri eroi?
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