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Bisignani e l'eredità di Papa Francesco: una Chiesa in default
Oggi 04-05-25, 11:17
Spirito Santo cercasi: anche nei conti. Il prossimo Papa potrebbe essere il primo nella storia della Chiesa a dover vendere i tesori nascosti nei sotterranei vaticani. Non per capriccio, ma per necessità. Dalla Sistina dovrà uscire un Pontefice che conosca non solo le Beatitudini, ma anche i bilanci consolidati. Si dice che nei Conclavi lo Spirito Santo faccia la sua parte; ai cardinali spetta il compito di non rovinarla. Stavolta, però, il Paraclito dovrà addentrarsi nei faldoni dell'Apsa e magari dare un'occhiata ai margini operativi della miriade di fondazioni vaticane. Perché il futuro Pontefice erediterà non solo la guida della Chiesa universale, ma anche il peso di una macchina amministrativa in affanno, complessa e - soprattutto - non più economicamente sostenibile. Le Congregazioni generali hanno cambiato linguaggio. Non si discute più di dogmi, ma di debiti. Non di pastoralità, ma di patrimoni. In questi giorni, il termine più ricorrente tra i porporati non è «evangelizzazione», ma «sostenibilità». Non per cinismo, ma per urgenza: senza una riforma amministrativa, la Chiesa rischia di non riuscire nemmeno più a permettersi la carità. Il cardinale Reinhard Marx, già presidente del Consiglio per l'Economia, ha aperto il tema con parole nette: «Quando manca la liquidità, nemmeno lo Spirito può moltiplicare i pani se il panificio è in fallimento». I numeri sono impietosi. Il bilancio consolidato della Santa Sede per il 2023 si è chiuso con un disavanzo di circa 30 milioni di euro, su un totale di 3,5 miliardi, considerando anche lo Stato della Città del Vaticano e gli enti collegati. Le entrate complessive, di poco superiori al miliardo di euro, sono state erose da spese correnti, contributi alle diocesi più povere e costi del personale. La sanità rappresenta uno dei fronti più critici. L'Istituto Dermopatico dell'Immacolata (Idi), un tempo vanto dell'assistenza religiosa, è stato letteralmente spolpato: patrimonio immobiliare ceduto a un fondo privato, con gestione formalmente ecclesiastica ma senza più garanzie reali. Il Bambino Gesù, ospedale pediatrico di fama mondiale, aveva accumulato sotto Giuseppe Profiti oltre 400 milioni di euro di riserve liquide: una base solida, ridottasi drasticamente durante la fallimentare gestione Enoc. Tra le voci critiche: investimenti in progetti immobiliari mai realizzati – come gli hospice per bambini oncologici privi di destinazione – e commissioni milionarie a una società ad hoc. Ora, il nuovo presidente Tiziano Onesti si sta adoperando per rimettere i conti in ordine. Il caso più emblematico, però, resta quello del Policlinico Gemelli, oggi guidato dall'ex ministro Daniele Franco, la cui gestione sta seminando confusione. Il «polmone sanitario» della Cei è sommerso da oltre un miliardo di euro di debiti. La macchina è bloccata, i fondi scarseggiano, e il cosiddetto «Piano Salva Gemelli» promosso dal governo italiano somiglia più a un'emorragia tamponata che a una cura. A tutto questo si aggiunge una gestione immobiliare che non riesce a coniugare missione e patrimonio. Dopo la morte del cardinale George Pell, artefice di una rigida centralizzazione, la gestione è passata al cardinale Farrell e al laico spagnolo Maximino Caballero Ledo. Con questa strana coppia, il risultato è stato disastroso: svuotamento dell'Apsa ed esternalizzazione di gran parte della gestione patrimoniale. Il paradosso è sotto gli occhi di tutti: edifici vaticani che languono vuoti o affittati senza strategia, palazzi nobiliari svenduti, religiosi che pagano canoni di mercato per vivere in immobili donati alla Chiesa. In certi casi, cardinali sfrattati dalle loro residenze storiche per fare spazio a progetti mai decollati. Emblematico il caso dell'Annona Vaticana, il sistema interno di approvvigionamento alimentare, ora gestito dalla catena privata Esselunga. È delle ultime ore la vicenda dell'immobile di Sloane Street, a Londra, che rende sempre più fragile il caso Becciu. Oltre al danno d'immagine, provocato da un processo che appare taroccato, il Vaticano ha già perso tra i 13 e i 14 milioni di euro. I giudici inglesi lo hanno condannato a coprire le proprie spese legali e a versare oltre 4 milioni di euro al finanziere Raffaele Mincione, che continua a proclamarsi innocente e potrebbe ora chiedere un risarcimento. A questo si sommano i costi esorbitanti per intercettazioni, apparati elettronici israeliani e per le parcelle dello studio legale che ha assistito la Segreteria di Stato nelle 86 udienze del processo vaticano. Last but not least. c'è il capitolo più delicato: le dismissioni. La razionalizzazione promessa si è spesso tradotta in vendite scoordinate. Mancano visione, piani di valorizzazione seri e una regia unitaria capace di coniugare sostenibilità economica ed evangelica. La Santa Sede possiede più di 5.000 immobili (senza contare quelli delle singole diocesi), sparsi tra Italia, Europa e America Latina. Conventi dismessi, seminari chiusi, case canoniche inutilizzate, terreni agricoli, palazzi e un patrimonio artistico rilevantissimo, spesso invisibile. Molte opere d'arte - di grande valore ma fuori dai circuiti espositivi - giacciono abbandonate nei sotterranei dei musei ecclesiastici o nei depositi delle diocesi. Alcuni cardinali, soprattutto quelli provenienti da Chiese del Sud del mondo, hanno posto una domanda tanto scomoda quanto concreta: ha senso custodire opere che nessuno vede, mentre chiudiamo ospedali e lasciamo senza fondi le missioni nei territori più fragili? Perché oggi, più che mai, avanza l'idea di una «dismissione etica»: vendere ciò che è inutilizzato. Il pontificato di Francesco ha avuto il merito di rompere equilibri opachi, denunciare storture, promuovere una visione sobria della Chiesa. Ma la sua riforma economica si è fermata a metà. Il modello tecnocratico - fatto di consulenze esterne, per di più super pagate - ha inceppato la macchina in nome di una finta trasparenza. Un tempo cuore finanziario della Chiesa, lo Ior è oggi ridotto a gestore marginale di fondi residui. L'Apsa è indebolita. Nel 2023, l'Obolo di San Pietro è crollato del 51%, passando da 107 a 52 milioni di euro. E anche l'8 per mille alla Chiesa cattolica è sceso sotto il miliardo per la prima volta. Il futuro Papa dovrà rimettere ordine. Sarà chiamato a coniugare Vangelo e numeri, e a far tornare su San Pietro le donazioni da parte degli episcopati americani e tedeschi, irritati dalla gestione amministrativa e liturgica di Bergoglio. Perché la crisi spirituale si affronta con il Vangelo. Ma quella finanziaria, se ignorata, rischia di impedirne proprio l'annuncio.
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