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Cercate la pace, lo dobbiamo ai bimbi delle terre martoriate
Oggi 24-05-25, 12:24
Avevo due anni quando è finita la guerra e di quell'epoca grama ricordo ben poco. So che i ragazzi portavano le braghette corte, Pippo girava sopra le teste e sganciava le sue bombe sulla campagna nera come la pece e le mamme compravano il pane razionato tenendo la mollica stretta in una tasca per i bimbi piccoli e la crosta dura nell'altra per sé e per gli anziani smagriti. Se suonava la sirena dovevi nasconderti. Altrimenti potevi gironzolare nei vicoli e nelle strade come un fantasma incosciente, ascoltando i pianti dei grandi e sognando un luogo senza macerie. Non ho conosciuto il tormento di quell'Italia dilaniata dalla guerra ma nel periodo che venne dopo sperimentai una precarietà simile. Avevo solo sei anni e mio padre era morto di un male inaspettato. Vedevo mia madre ammazzarsi di lavoro per portare la pagnotta a casa mentre i soldi andavano via uno dopo l'altro. Non dico che patissi la mancanza di cibo. Però vivevo in ristrettezze e ogni sera a tavola era un regalo. Fu forse in quel contesto che maturò in me l'idea di fare qualunque cosa potessi per non soffrire mai la fame e non farla soffrire ai miei bambini… Un fanciullo non dovrebbe mai patire la vita e le sue nefandezze. E quando leggo che i piccoli di Gaza muoiono con la pancia vuota o sotto le bombe di una guerra orribile, mi sento smarrito. I resoconti di queste ore sono spietati e riportano immagini alla memoria che credevo lunari: i camion di provviste che marciano lenti lungo il valico ma poi si fermano in attesa che la diplomazia li sblocchi; l'esercito israeliano che controlla, perlustra e ridistribuisce la merce alle organizzazioni umanitarie affinché a loro volta le smistino alla popolazione sofferente. Intanto il tempo passa e si muore. Gli adulti ai cancelli reclamano indignati la loro parte di cibo mentre i bimbi attendono a braccia aperte, schiacciati in strane smorfie sotto un sole che non è primaverile ma picchia 38 gradi sulla testa e non dà tregua. Non domandano la luna, solo che quel giorno si concluda con una razione di riso da sbocconcellarsi tra sei fratelli. E se non è la fame a travolgerli, sono le bombe. La mamma che scendeva le scale di una casa dilaniata dalle granate trascinandosi la moto-giocattolo del figlio raccattata tra le macerie della sua cameretta, perché un barlume di umanità va conservato anche in un mondo che si sbriciola, beh quell'immagine mi ha scioccato. Come i bimbi mutilati nelle canottiere bianche e slabbrate che giocano tra le macerie e cercano la luccicanza. E le donne di Gaza che fanno il pane nelle panetterie mangiate dalle bombe e puliscono i tavoli dai calcinacci sperando che l'oro della guerra - 325 dollari 25 chili di farina - arrivi come un miracolo e consenta di impastare la pita per i figli. I numeri sono impietosi, non so se veri o esagerati dalle associazioni umanitarie che operano in quelle terre. 57 bimbi morti di malnutrizione in due mesi, 14 mila quelli che rischiano di morire nelle prossime settimane in quella striscia dove ormai non arriva più nulla e un uovo di gallina costa 4 euro. Capisco la rabbia degli israeliani. L'orrore che hanno subito il 7 ottobre per mano dei terroristi di Hamas non ha precedenti. Gli ostaggi, le uccisioni sommarie e le torture inflitte ai fratelli Bibas orrendamente strappati alla loro casa e uccisi a mani nude dai barbari di Hamas hanno sconvolto il mondo. E hanno sconvolto me che assisto da lontano. Però adesso basta. Cerchino tutti un'interlocuzione. Lo chiedeva papa Francesco quando disse che era scoppiata «la terza guerra mondiale a pezzi». Lo chiede Papa Leone appena insediato. E lo vuole Trump, nonostante comprenda quanto la strada sia tortuosa e impervia rispetto ai suoi modi spicci e perentori. Una soluzione diplomatica va cercata. Lo dobbiamo ai bambini di terre martoriate. Se no cosa gli avremo insegnato: che la vita è guerra, che il nemico è il male, che si cresce nella vendetta e si crepa nel tentativo di ottenerla. Ho schifo e orrore per l'antisemitismo dilagante in Europa e anche in casa nostra, con le manifestazioni antiebraiche del sabato pomeriggio, i cori lascivi della folla, le scritte insultanti sui muri, e il negozietto del centro benestante che sfoggia il divieto di ingresso agli israeliani ma lo scrive in arabo perché nessuno capisca. Il solo pensiero che due giovani diplomatici israeliani siano stati uccisi in una strada di Washington da un pazzo omicida antisemita deve tenerci tutti col fiato sospeso. Ma è difficile che abbia fine la spirale di violenze se non si persegue la via della pace. Per tutti. Ma soprattutto per i bambini. Alla fine sono sempre loro che pagano il prezzo più alto della nostra dabbenaggine. Quelli palestinesi affamati a Gaza. Quelli israeliani predati da Hamas. Quelli ucraini che vanno a letto con il fischio dei missili nelle orecchie. Quelli nordafricani appesi alla vita in mezzo alle acciughe di Sicilia dopo che le madri hanno speso cinquemila euro per una traversata su gommoni infernali. Almeno quelli scappano da una guerra. Da noi i piccoli muoiono per molto meno. Partoriti nel water e buttati giù con lo sciacquone. Portati in grembo nei meandri del metro perché con la panciona è più facile rubare. Sepolti in un giardino all'inglese dopo un respiro e neppure un cenno di commiato. O messi al mondo e buttati in un secchio sul balcone mentre l'odore di umido e cemento sale dall'asfalto e si appiccica alle ossa. Si muore ovunque tutti i giorni, anche da bambini. È ora di svegliarci. O saremo due volte colpevoli e coglioni.
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