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Dal cuore di Firenze ai segreti d'Italia: la strage dei Georgofili tra mafia e complicità invisibili
Oggi 16-06-25, 15:37
“Le inchieste e i processi hanno dimostrato la chiara responsabilità della mafia: ci sono 16 ergastoli, è vero, ma la verità è ricostruita all'80-90%. Bisogna ancora indagare, ci sono spazi ancora da scoprire, perché la mafia siciliana non poteva agire da sola in continente: aveva una base a Prato, non solida, quindi per compiere quegli attentati ha goduto di appoggi autorevoli”. Lo ha detto Daniele Gabrielli, vicepresidente dell'associazione Vittime della strage via dei Georgofili, in collegamento da Firenze nel corso del programma Incidente Probatorio, condotto da Gabriele Raho su Canale 122 Fatti di Nera, con un approfondimento sulla strage degli Uffizi del 1993. Era l'1:04 di notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, quando la mafia fece detonare una bomba in via dei Georgofili a Firenze, per colpire il cuore culturale italiano, con danni ingenti agli Uffizi. Lo scoppio dell'autobomba, imbottita con 277 chilogrammi di esplosivo, provocò l'uccisione di 5 persone: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (31 anni) con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (appena 50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni), nonché il ferimento di 38 di persone. Quell'attentato fu ricollegato alle altre stragi di mafia del periodo 1992-1993, quando Cosa nostra alzò il tiro, uccidendo prima i due magistrati Falcone e Borsellino, poi colpendo “in continente” perché “se uccidi un magistrato o un poliziotto, ne mettono un altro, ma se butti giù un monumento, come fanno?” come dicevano alcuni capimafia intercettati. La strage di via dei Georgofili si inserì in un'epoca molto significativa, anche dal punto di vista politico. A 32 anni da quella tragica notte la verità sulla strage non è ancora stata raggiunta. Dopo le condanne degli esecutori materiali e di alcuni vertici di Cosa nostra si indaga ancora sui mandanti e per capire se nell'attentato di Firenze c'è stata la ferma volontà della mafia di rispondere alle leggi dello Stato colpendo il suo patrimonio artistico. “Via dei Georgofili a Firenze, piazza Fontana a Milano, e ancora Bologna, Brescia, con tutte le altre stragi. Le nostre storie – ha detto Gabrielli – avevano passaggi in comune, c'era sempre la presenza del terrorismo nero, la sensazione netta della presenza dei servizi segreti, della massoneria deviata e della criminalità organizzata che era il braccio armato che, in cambio di impunità, si rendeva disponibile a compiere queste cose”. Il vicepresidente dell'associazione delle vittime di quella strage fa un riferimento anche ai presunti mandanti occulti di quella strage, con l'inchiesta tuttora aperta: “Marcello Dell'Utri ha una situazione particolare: incidentalmente, vari processi hanno associato il suo ruolo di collegamento tra i politici dell'epoca e la mafia. Lui, proveniente dalla Sicilia, era organico alla mafia. Quello che chiediamo è che venga integrato il personale con magistrati esperti in mafia, non per archiviare l'inchiesta, ma per arrivare al dibattimento e scoprire la verità”. Decisivo fu il ruolo del pentito Gaspare Spatuzza, uno degli esecutori materiali di quella strage. “Si può dire che il suo è stato un pentimento su alti livelli – ha spiegato Andrea Bigalli, presidente di Libera Toscana – perché quella figura complessa ha rivisto il male che aveva commesso nel corso degli anni. Col senno di poi, la strategia di Falcone e Borsellino e l'utilizzo dei pentiti non hanno ancora portato Cosa nostra ad essere messa del tutto all'angolo, mentre la 'Ndrangheta, rimasta strettamente a gestione familiare, non è stata scalfita dal pentitismo che resta un fenomeno molto più raro. Su questa e sulle altre stragi, le inchieste devono andare avanti, bisogna ricostruire tutta la storia su questa vicenda, perché le sentenze scrivono la storia di un Paese”. Il professor Matteo Antonio Napolitano, docente di Storia Contemporanea, ha ricostruito come il periodo del 1992-93 fosse “una fase complessa, anche politicamente, per l'Italia”. La mafia voleva colpire nel momento di confusione, anche in seguito ai “risultati raggiunti dallo Stato, anche grazie maxi processo che si era concluso che aveva portato già ad altri attentati e altri morti. L'arrivo a Firenze – ha aggiunto Napolitano – significò portare fuori dalla Sicilia l'attacco della mafia al cuore dello Stato, riprendendo la strategia terroristica degli anni '70, ma con altre idee e altri intenti. La mafia voleva portare a creare disordine e gettare confusione, per far tornare lo Stato sui suoi passi, in particolare sul 41bis e sulle altre misure messe in campo per demolire l'impianto della mafia”. Dietro la strage degli Uffizi, però, “c'è anche il discorso del patrimonio storico. Colpire città come Firenze e Roma significava che la mafia operava e poteva colpire ovunque. Entrare in azione in quei luoghi significava demolire una cultura e un patrimonio”. Gianluca Tenti, giornalista e scrittore, ha ricordato come “la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Firenze del 2016 ha sottolineato che lo Stato avviò una trattativa con Cosa nostra. Una frase che ha portato ad aprire piste suggestive, ma anche ad ipotesi con riscontri. L'inchiesta non si ferma. In questo caso, più di una trattativa, si parlava di un ritorno alla trattativa, perché di episodi dubbi è costellata la storia d'Italia. Quindi, qualcosa in più bisogna ancora scavare. La mafia si è evoluta: dalla lupara e le bombe, ora possiamo parlare di criptovalute”. Gianluca Monastra, scrittore e autore del libro “Più buio della notte”, ha sottolineato come “la perdita della memoria è il rischio più grande che un Paese possa compiere. In quel periodo, in Italia ci fu un terremoto incredibile, sparirono alcuni partiti politici, altri personaggi furono cancellati in pochissimo tempo. Tutto ciò non può essere dimenticato, così come la forza della cultura. Nonostante le 5 vittime, la cultura e l'arte sono state più forti”.
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