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D'Orsi: "La censura su di me? Altro che democratici sono solo fascisti"
Ieri 10-11-25, 16:34
«Se preventivamente impedisci a chi la pensa in modo diverso di parlare, siamo al fascismo. Altro che democratici e riformisti». Parole forti quelle del sociologo Angelo D'Orsi nei confronti di chi cancella una conferenza su“Russofilia, russofobia e verità”. Non basta il chiarimento del sindaco di Torino Lo Russo che, al diretto interessato, sottolinea «di non essere al stato al corrente su quanto stava accadendo» a placare la polemica. Chi le ha impedito di tenere una lezione che non aveva proprio nulla di propagandistico? Il Pd? Il sindaco? «Adesso tutti dicono “non sono stato io”, prevale la vecchia logica dello scaricabarile. La verità è un'altra, ovvero che in certi ambienti, basta pronunciare la parola Russia che tutti vanno in fibrillazione. Non puoi neanche nominarla. È inquietante la linea del duo Picierno-Calenda. Se gli diamo spazio è chiaro che tutta la politica estera del Pd ne sarà condizionata. Siamo di fronte a una “Natofilia” dilagante. Aumentano coloro che vogliono mandare i nostri poveri figli a morire in guerra». Le sorprende che questa censura sia arrivata da una forza in cui, fino a prima del conflitto, si parlava di modello sovietico? «La verità è che una certa sinistra non conosce nemmeno la Russia. A quel convegno io non ero politico, ma uno storico o meglio un professore, che voleva relazionare su una realtà diversa da quella, che talvolta, viene descritta. Il mio scopo era una semplice conferenza per ripercorrere i rapporti tra Russia e Occidente negli ultimi secoli». Perché allora non le è stato concesso? «Mi è stato impedito di farlo prima ancora che parlassi e ciò è gravissimo, considerando che siamo in Italia e nella mia Torino. Ho girato il mondo. Sono 46 anni che insegno all'Università e le posso dire che neanche in Iran mi è stato impedito di presentare uno studio, una relazione documentale. Non ero lì per fare due chiacchiere sul tema del giorno». Da studioso di Gramsci e uomo di sinistra, non le infastidisce che, oggi, a cercare la pace con Mosca sia Donald Trump? «La verità è che l'Unione Europea vuole andare, a tutti i costi, in guerra. Non c'è dubbio che stia facendo meglio Trump, seppure con tutti i limiti di un personaggio che ormai conosciamo. È l'unico che ha cercato il dialogo. Ma davvero vogliamo andare a uno scontro con chi ha 6500 testate nucleari? A mio parere, è una follia. Il presidente degli Stati Uniti ha detto in modo chiaro che l'Ucraina sta, oggettivamente, perdendo il conflitto e quindi deve accettare tale condizione. Questa Europa che fa la morale a Netanyahu, nei fatti, sta facendo lo stesso: manda il suo popolo al massacro per difendere sé stessa. Tutta questa vicenda mostra i limiti della democrazia attuale. La verità, infatti, è che tutto il continente, a parte qualche eccezione, sta andando dietro a Kiev, dove un uomo solo al comando, proprio come Hitler e Mussolini, decide tutto. Non è questo un totalitarismo morbido o cos'altro è?». Non le sembra strano che quella stessa parte politica che parla di criminali putiani al contrario dialoga con terroristi che uccidono chi si oppone ai loro diktat? «Io sono il primo a essere per le ragioni dei palestinesi e a condannare quanto accade in Medioriente e, pur ritenendo che tale paragone sia poco consono, ritengo un cortocircuito aver paura della Russia e non temere, invece, organizzazioni pericolose. I sostenitori di Putin non mi sembra che uccidano in piazza. Sono tornato, da poco, da Mosca e posso affermare di aver trovato una realtà diversa da quella raccontata da molti osservatori. Ho parlato con intellettuali e gente comune. Tutti amano l'Italia e nessuno ha rancore nei nostri confronti. Non c'è pensatore che a Mosca non sia stato almeno una volta qui, così come non c'è cittadino che non ami ascoltare la nostra lingua. Qualcuno critica le posizioni del nostro governo, ma nessuno ce l'ha con un popolo amico». Nel rispetto della sua idea politica, possiamo, dunque, dire che Berlusconi era più aperto al dialogo rispetto al partito guidato da Schlein? «Assolutamente! Ci teneva ad avere un buon rapporto con chi era nel Mediterraneo, così come con tutti coloro che fanno parte del continente. La sua politica era, senza ombra di dubbio, all'insegna del confronto. Questo Pd, invece, si è piegato ai diktat di Washington, proprio come quella Meloni che accusa. Va nella direzione che decide Bruxelles o Francoforte. Vedo una pochezza morale e intellettuale disgustosa».
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