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Draghi striglia l'Europa: "I dazi? Se li è autoimposti. Serve un cambio di mentalità"
16-02-2025, 12:28
È di nuovo il Mario Draghi del “o si cambia o si muore”, relativo all'Unione Europea. È il senso di un editoriale scritto sul Financial Times, dove si riaggancia nella sostanza all'impostazione di quel rapporto sulla competitività le cui parole d'ordine erano: semplificare, investire, riprendere a produrre. Ora l'ex Presidente del Consiglio italiano interviene nel momento in cui salgono le preoccupazioni per la prospettiva di un'offensiva commerciale di Donald Trump. e il messaggio è un po' questo: niente alibi. Infatti, spiega Draghi, «è l'Europa che ha imposto dazi su se stessa», e invoca «un cambiamento fondamentale di mentalità». Draghi osserva che l'Ue, fino a questo momento, «si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo». Quali sono le scelte nocive, secondo l'ex premier italiano? «La conservazione del denaro pubblico ha sostenuto l'obiettivo della sostenibilità del debito. La diffusione della regolamentazione è stata progettata per proteggere i cittadini dai nuovi rischi tecnologici. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l'azione. Ma è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale». Nello specifico, spiega ancora, «l'Europa ha di fatto aumentato le tariffe doganali all'interno dei suoi confini e rafforzato la regolamentazione in un settore che rappresenta circa il 70% del Pil dell'Ue». Per questa serie di motivi, le ultime settimane «hanno fornito un duro promemoria delle vulnerabilità dell'Europa. L'eurozona è cresciuta a malapena alla fine dell'anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l'Ue prossima nel mirino. Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell'economia dalla domanda estera. Due fattori principali hanno condotto l'Europa in questa situazione difficile, ma potrebbero anche farla uscire di nuovo se fosse disposta ad affrontare un cambiamento radicale». Dunque, attorno a questo «cambiamento radicale», nella direzione della deregolamentazione e potenziamento del mercato interno, ruota la sfida del rilancio. La presa di posizione che suscita alcune reazioni nella politica italiana. Dalla Lega, il responsabile economico Alberto Bagnai osserva: «Anche Mario Draghi sul Financial Times ammette che le vere minacce al benessere europeo derivano dall'Unione Europea e non da ipotetici dazi statunitensi. Tuttavia, non è tanto dal carico burocratico insopportabile o dalla persistenza di alcune barriere interne che deriva il malessere delle nostre economie, quanto da decisioni assurde di politica industriale, come lo stop al motore termico nel 2035, e soprattutto dalla rigidità dell'unione monetaria». In Forza Italia, la vicesegretaria nazionale Deborah Bergamini definisce le argomentazioni di Draghi «importanti e condivisibili». E aggiunge: «il gigantismo normativo pone l'Ue fuori dalla storia e affrontarlo è una priorità che il PPE ha fissato nel vertice di Berlino, appena poche settimane fa, così come lo sviluppo del mercato interno». Dunque «o si parte subito o sarà difficile affrontare le sfide future». E se in politica tutto ha una rilevanza, val la pena mettere in successione lo scossone di Draghi con la sferzata del vicepresidente degli Stati Uniti J.D Vance durante la conferenza di Monaco. Quest'ultimo si era concentrato sui valori che fondano la democrazia europea. Ma la necessità di un avvio della fase paracostituente per l'Unione è lampante, così come la discontinuità necessaria rispetto a certi retaggi del progressismo europeo, che hanno portato all'incaglio il progetto di integrazione.
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