s

Due anni senza Berlusconi. Il ricordo di Gianni Letta: "Sapeva parlare alla gente"
Ieri 12-06-25, 08:38
Caro direttore, Il dopo Berlusconi non è mai iniziato. A due anni dalla morte, la realtà è questa. Il quattro volte presidente del Consiglio ha lasciato un vuoto che nessuno ha mai colmato. Né in politica, né nei media, né nell'immaginario collettivo. Il suo mondo era fatto di visione personale e sintesi politica ed ha lasciato il segno, piaccia o no. L'eredità berlusconiana si respira ancora ed è tuttora il motore che manda avanti il partito. È un'eredità distribuita, fatta di intuizioni che oggi sembrano normali, ma che allora erano rotture: l'idea di un centro politico che non fosse solo luogo geometrico ma forza propulsiva; «l'intuizione di parlare alla gente con un linguaggio che scavalcava le élite e rompeva gli schemi del politichese» come ricorda sempre Gianni Letta. Berlusconi ha reso "popolare" la politica in senso tecnico, prima che diventasse populista. Ha unito Bossi e Fini dando forma a un'alleanza dove convivevano mondi diversi e diffidenti. Ha reso presentabile ciò che prima era marginale, portando dentro il sistema pezzi della destra esclusa. Un'operazione rischiosa, ma efficace. Oggi, nella destra di governo, quell'imprinting è ancora visibile. Senza Berlusconi non ci sarebbe mai stata Meloni a capo dell'esecutivo. Anche all'estero il suo lascito è importante, qualsiasi cosa blaterino i detrattori. Fu amico fedele degli Stati Uniti, a prescindere dall'inquilino della Casa Bianca. Non per ideologia, ma per una convinzione atlantica radicata, che oggi si rivela lungimirante. Fu europeista nel senso pratico del termine: con i piedi nel Partito Popolare Europeo e la testa nei dossier concreti. Difese l'unità dell'Occidente ben prima che la retorica della «libertà contro le autocrazie» tornasse di moda. Oggi, con un PPE che si riposiziona e un asse Berlino-Bruxelles che cerca nuova stabilità, Berlusconi sarebbe stato un alleato naturale del cancelliere Friedrich Merz: per cultura, stile, tempismo. Non era un teorico dell'integrazione, ma ne capiva il peso storico. Quell'innegabile capacità di leggere le crisi prima degli altri. La Libia ne è l'esempio lampante. Al contrario di molti leader europei, aveva capito che rimuovere Gheddafi senza avere un piano per il dopo avrebbe spalancato l'inferno nel Mediterraneo. Lo disse, lo ripeté, cercò di evitarlo. Non ci riuscì. Ed oggi, su Gaza, con ogni probabilità avrebbe preso le distanze dall'attuale operazione israeliana, pur restando fedele al rapporto con Israele. Non per calcolo, ma per quella sua forma istintiva di realismo e di umanità. Le guerre si evitano, non si vincono. E se si possono fermare, si fermano. Come un vero leader mostrava in politica estera un istinto raro. Pratica di mare ne è lo spirito. La sorpresa – per chi lo ha sempre giudicato solo un comunicatore brillante – è che parte della sua lezione ha resistito più del previsto. Sul piano familiare, dove la compattezza dei figli è stata un fatto insolito in una vicenda da miliardi. Nessuno scontro pubblico, nessuna guerra intestina. E poi sul piano simbolico. Berlusconi ha insegnato che il potere può avere un volto riconoscibile, non solo apparati. Che la politica può essere racconto, presenza, perfino leggerezza. E chi oggi cerca il consenso senza avere una visione lo conferma ogni giorno, senza volerlo. Certo il berlusconismo non ha lasciato una scuola. Non c'è un suo successore, né nel metodo né nel carisma. I suoi imitatori ne hanno preso la superficie, non la sostanza. Ma è anche vero che certe stagioni non si ripetono: si sedimentano. E l'Italia del 2025, per quanto diversa, continua a muoversi in un paesaggio che lui ha contribuito a disegnare. Le alleanze, il modo di fare comunicazione, la centralità della leadership personale, persino l'idea che il successo economico possa essere una credenziale politica: tutto questo viene anche da lì. Forse, se potesse davvero guardare giù da qualche balcone celeste, Berlusconi sorriderebbe come faceva lui, con l'aria di chi ha capito qualcosa che gli altri ancora no. «Non ho eredi politici, è vero. Ma ho lasciato il segno». Non è poco. Non è tutto. Ma è ciò che resta.
CONTINUA A LEGGERE
4
0
0
Guarda anche
Il Tempo
10:00
Realpolitik - Riarmare l'Europa?
Il Tempo
09:30
La grafologia come metodo di analisi della personalità
Il Tempo
09:20