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Gaza, l'analisi di Rampini: perché il problema non è Israele ma Hamas
Ieri 31-07-25, 10:04
Dopo la Francia e la Spagna anche la Gran Bretagna annuncia il prossimo riconoscimento dello Stato di Palestina. "Israele sta scontando un isolamento internazionale sempre più crescente, direi senza precedenti", osserva Federico Rampini nella puntata di Coffee break di giovedì 31 luglio , su La7. Un isolamento "da parte di paesi come Francia, Regno Unito, Canada che hanno ben altro peso rispetto" ad altre nazioni al di fuori dell'Occidente. Tuttavia, osserva l'editorilalista del Corriere della sera, "manca naturalmente quello che sarebbe l'attore decisivo, cioè gli Stati Uniti d'America. Qui bisogna notare due cose, intanto che in linea di principio l'amministrazione Trump non ha mai escluso un riconoscimento dello Stato palestinese". La seconda è che "al di là del rapporto ovviamente molto forte tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu, c'è però una continuità bipartisan: nessun presidente democratico, per pensare all'ultimo, in un'epoca in cui già la tragedia di Gaza era in atto, cioè Biden, si era sognato di riconoscere lo Stato palestinese. Quindi qui c'è una continuità che si può addirittura far risalire a 1967, la guerra dei Seri Giorni, da quel momento che si salda un asse tra gli Stati Uniti e Israele che tutti hanno, con delle sfumature, rispettato al di là che fossero democratici o repubblicani". Insomma, fa notare Rampini, "finché Netanyahu non perde l'alleato americano può anche andare avanti per la sua strada". Intanto all'Onu la Lega Araba ha firmato la Dichiarazione di New York: per la prima volta Paesi come Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Giordania e Turchia condannano esplicitamente gli attacchi del 7 ottobre, chiedono la liberazione degli ostaggi e invitano Hamas a disarmare e a lasciare la Striscia. Per Rampini "siamo di fronte a uno sviluppo non del tutto sorprendente, imprevedibile perché nel mondo arabo da tempo c'è una condanna di queste milizie terroristiche come Hamas e Hezbollah che sono state considerate da tutte le nazioni arabo-sunnite moderate, conservatrici come il principale pericolo, il pericolo numero uno in quell'area". Insomma, "il problema numero uno per la pace, il benessere, la sicurezza di quell'area del mondo non è Israele di sicuro, è l'Iran e sono tutte le varie forme di terrorismo che l'Iran ha foraggiato, sovvenzionato e armato per anni - argomenta l'esperto di geopolitica - Hamas è tra queste probabilmente la più feroce ed è il problema a Gaza". L'editorialista osserva inoltre che c'è "un sentimento diffuso nelle classi dirigenti del mondo arabo che quel problema lì va risolto, in questo senso c'è perfino da parte di molti governi arabi implicitamente una approvazione di tante cose che Israele ha fatto dal 7 ottobre 2023 in poi, non le sofferenze inflitte indiscriminatamente alla popolazione di Gaza, non gli ostacoli agli aiuti umanitari, però la determinazione con cui Israele sta tentando di decapitare Hamas è condivisa dalla maggior parte delle nazioni di quell'area, non dall'Europa".
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