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Greco: "Il modello Milano è fallito. Sala non può candidarsi a unificatore dei moderati"
Oggi 14-03-25, 17:34
«Il modello Milano ha fallito nel non riuscire a coniugare sviluppo e opportunità diffuse. E c'è un paradosso: la sinistra governa Milano da 13 anni, la città poteva rappresentare un laboratorio, un esempio con cui candidarsi a guidare il Paese. Invece è un punto debole della credibilità del campo largo, che incalza il governo sulla questione sociale, ma inciampa su un capoluogo che sta diventando respingente, dove sempre più persone fanno fatica ad arrivare a fine mese. Pd e Avs hanno condiviso il percorso, accompagnandolo con unanimismo prima e con improbabili cambi di rotta radicali e distinguo ora». A dirlo Tomaso Greco, fondatore di Adesso. Basta dire che 10 consiglieri e un presidente di municipio sono passati da poco dalla lista Sala ad Avs per dare l'idea della condivisione e della contiguità? «Scaricare le responsabilità solo su Beppe Sala è una soluzione fin troppo di comodo, è rimasto coerente con il suo primo incarico da city manager della giunta Moratti. Lo sapevano i partiti che lo hanno scelto e che ora fanno finta di stupirsi. Aveva ragione Manzoni: si passa dal servo encomio al codardo oltraggio. Milano, come del resto molte altre città europee, avrebbe bisogno di passare dal lassez faire a un modello più bilanciato, con un progetto per la città che rimetta al centro i bisogni dei cittadini. A partire dalla trasformazione, a lungo attesa, della città in città metropolitana: è una straordinaria occasione per una politica sulla casa diversa, accessibile, non esposta alle speculazioni». La sinistra anche in Lombardia dovrebbe rappresentare chi lavora e chi fa fatica ad arrivare a fine mese. Invece è diventata sempre più “fighetta” e si è persa tra battaglie identitarie, retorica woke e slogan vuoti. Perché è avvenuto questo scollamento con la realtà? «Il massimalismo spopola tra i salotti e incontra diffidenze tra chi lavora, non è una novità. Il massimalismo di oggi si basa su pretese di superiorità morale, su una riproposizione artificiale ed elitaria della lotta di classe attraverso l'intersezionalismo, sull'indignazione continua senza cercare davvero una soluzione ai problemi». Una sinistra concreta deve invece difendere i lavoratori e chi crea lavoro… «Dicendo una cosa semplice: all'Italia serve un mercato che funziona, che innova, accessibile anche a chi non ha grandi ricchezze alle spalle e uno Stato sociale che garantisce servizi di qualità e tempestivi. Al momento mancano tutte e due. E l'ascensore sociale è rotto. Si parta da qui: la stragrande maggioranza di chi lavora vuole maggior benessere, prospettive, quella normalità cha avevamo e che abbiamo perso». Un ceto medio impoverito, fatto di gente che lavora e paga le tasse, ma non riesce più a vivere con dignità, intanto, non ha nessuna rilevanza nell'agenda politica del Paese, né una rappresentanza. Quale prospettiva può avere questa fascia di popolazione? «Partiamo da una constatazione: chi oggi fa lo stesso lavoro di vent'anni fa è più povero. Chi appena ieri riusciva a risparmiare e permettersi qualche extra oggi tira la cinghia. Gli stipendi sono fermi da trent'anni, si innova poco e male, manca una strategia di sviluppo industriale. Serve una politica immediata per riagganciare gli stipendi agli standard europei. Da un lato attraverso la detassazione degli aumenti derivanti da contrattazione aziendale, territoriale e superminimi, dall'altro incentivando la contrattazione territoriale almeno nelle grandi metropoli. Uno shock salariale che rilancia i consumi e dà respiro alle famiglie. Ma da sola non basta, serve rimettere mano alle politiche industriali, agli investimenti strategici, all'innovazione. Rimettere in campo un'idea forte dello sviluppo del Paese e dell'Europa». Sul riarmo dell'Unione Europea e sulla posizione nei confronti dell'Ucraina sono emerse tutte le contraddizioni della sinistra e anche quelle interne al Pd. Possibile che a dettare la posizione al partito di Elly Schlein siano il Movimento 5 Stelle e AvS? «Il Pd ha mantenuto una posizione sbagliata e ambigua. Che poi sfociata nell'astensione su un tema che è centrale per il nostro futuro. Ma tutto il percorso di avvicinamento al voto europeo è stato poco chiaro, sibillino, contorto. Il “ma anche” fondativo del Pd è diventato “neanche”. Ma per decifrare cosa pensa davvero il gruppo di testa del Pd e non vuole o non può dire, basta aspettare una dichiarazione di Fratoianni. È una stele di Rosetta, funziona quasi sempre». E intanto Fratoianni, che dovrebbe rappresentare quella sinistra italiana che, vale la pena ricordarlo, si ispira, o comunque non ha mai rotto con il comunismo, gira in Tesla. Forse non è un caso che sembri guardare con simpatia a Putin… «Fratoianni è un politico abile, sa intercettare un certo elettorato identitario con battaglie simboliche, ma questa sinistra non ha mai risolto un solo problema dei lavoratori. Si accontenta della testimonianza, dell'opposizione sterile, e alla fine finisce per essere l'alleato perfetto della destra. Sul lavoro povero è andato incontro a una sconfitta epocale insistendo sul voto parlamentare, dove non c'erano i numeri, anziché sulla attuazione dell'articolo 39 della Costituzione. Quando ha la possibilità di incidere, si tira indietro. A Bologna chiedono un salario minimo addirittura sotto la soglia di povertà cittadina pur di non ammettere l'ovvio: serve la contrattazione territoriale. Per non parlare delle posizioni sulla proposta di legge popolare sulla partecipazione dei lavoratori». Come fa una forza progressista a chiamarsi fuori? «È una sinistra che alla fine difende solo sé stessa, e che finisce a lavorare per qualsiasi Re di Prussia, in questo caso Putin, non per affinità, ma per convenienza. Il punto non è attaccare Fratoianni sulla moglie deputata del suo stesso partito o sull'auto che guida, ma sul fatto che occorra una sinistra diversa, concreta, che abbia il coraggio di mettersi in discussione, di dismettere la retorica radicale, proprio perché servono riforme radicali per rilanciare l'ascensore sociale. Altrimenti è marketing delle nostalgie. A Fratoianni direi: confrontiamoci nel merito dei problemi, sapendo che non lo farà. Come dicevo, è un politico abile». A vederla così sembrano esserci grandi spazi da conquistare a quelle latitudini. Come movimento “Adesso” che prospettiva vi siete dati? «L'Italia ha bisogno di una sinistra concreta, che offra soluzioni reali e credibili per migliorare la vita delle persone. Una sinistra che parli alla maggioranza degli italiani, non solo ad alcune élite o a nostalgici del passato. Il cosiddetto campo largo non funziona: non convince gli elettori, non è in partita in nessun sondaggio. Noi crediamo in una sinistra nuova, capace di unire le migliori tradizioni socialiste, umaniste, liberali e cristiano-sociali. La nostra priorità è rimettere in moto il Paese. Dopo trent'anni di salari fermi non ci si può accontentare di piccoli aumenti a singhiozzo. Serve un vero piano industriale, investimenti in innovazione e infrastrutture, rivedere radicalmente le tasse sul lavoro, tirare fuori dalle sabbie mobili molte aree del Sud come del Nord dalle quali i giovani scappano. Dobbiamo rilanciare la sanità e la scuola pubblica, perché senza servizi di qualità non c'è futuro per nessuno. E dobbiamo garantire un vero ascensore sociale: chi parte da una situazione di difficoltà deve avere la possibilità di migliorare in modo tangibile la propria condizione attraverso il lavoro». Per costruire questa alternativa, serve mettere da parte le mezze risposte o meglio le ambiguità? «Per tale ragione sfidiamo il campo largo a un confronto aperto: primarie vere, per scegliere la leadership della coalizione e i candidati nei collegi. È tempo di ridare agli elettori il potere di scegliere i loro rappresentanti. E agli italiani una scelta più costruttiva di quella tra gli eredi del post fascismo e quelli del post comunismo».
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