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Il dna di Sempio e le "ulteriori tracce sulla scena del crimine": perché hanno riaperto il caso
Ieri 14-03-25, 19:29
C'è l'ipotesi "suggestiva" che colloca Andrea Sempio nella villetta dove Chiara Poggi fu trucidata il 13 agosto 2007 come omicida in concorso con Alberto Stasi "o altri soggetti" e poi la "irrilevanza investigativa" degli elementi a carico del 37enne, già vagliati da pm e gip in più occasioni: l'impronta sulla porta, l'alibi del parcheggio a Vigevano, le telefonate a vuoto a casa Poggi, il cellulare in vacanza dell'amico Marco Poggi, i capelli nel lavabo. Infine ci sono i 7 tentativi delle difese di Alberto Stasi (un ricorso straordinario per Cassazione, 2 tentativi di revisione del processo, un doppio esposto, un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo e ora la consulenza genetica) di riaprire una storia giudiziaria chiusa con 16 anni di condanna definitiva nel 2015. Di certo c'è che il dna di Sempio, prelevato con test salivare giovedì nella caserma Montebello dei carabinieri di Milano, è da "comparare" sia con il "profilo genetico estratto dal materiale biologico rinvenuto sotto le unghie" della vittima, ritenuto ora utilizzabile - come scrive la gip Daniela Garlaschelli nell'ordinanza di autorizzazione al prelievo coatto - ma anche con "ulteriori tracce rinvenute sulla scena del crimine" nella casa via Pascoli. Sono gli "elementi nuovi" che hanno consentito la riapertura dell'inchiesta. Per il resto, la strada della pm Valentina De Stefano con l'aggiunto Stefano Civardi e il Procuratore Fabio Napoleone, che coordinano i carabinieri del Nucleo investigativo, è in salita secondo quanto riferisce Lapresse. "I capelli sono di Chiara Poggi" recisi "a causa dei colpi inferti" dal suo killer con un oggetto contundente, "rimasti sulle mani insanguinate dell'assassino" e "la loro presenza" nel lavabo dimostra che "effettivamente" si sia "lavato le mani", scriveva l'aggiunto Mario Venditti chiedendo e ottenendo l'archiviazione del fascicolo contro ignoti nel 2020, dopo l'informativa dei militari secondo cui i 4 capelli (senza bulbo, quindi non utilizzabili per accertamenti genetici) "attestano ovviamente che il lavandino non è mai stato lavato dalla presenza di sangue. Diversamente, i capelli presenti nel lavabo sarebbero stati portati via dall'acqua". È uno snodo cruciale perché, fra le prove a carico di Stasi, ci sono le sue due impronte sul dispenser del sapone (ritenute le ultime, oltre a molte altre sovrapposte) "che sarebbero state cancellate" se lo stesso "fosse stato lavato". Per i magistrati però una "più o meno accurata 'pulizia'" del lavello nulla cambierebbe. "Il sangue, liquido e solubile in acqua, viene lavato molto più facilmente dei capelli" che in base a "forma e lunghezza" rimangono "facilmente sul fondo della vasca". È "verosimile che l'assassino non si sia soffermato per verificare l'effetto del risciacquo, ma si sia allontanato rapidamente dalla scena". I capelli - hanno sostenuto sulla base della memoria del tenente colonnello Giampietro Lago del Ris depositata nel processo d'appello bis che ha condannato l'ex fidanzato - sono della vittima, "senza dover chiamare in causa terze persone delle quali peraltro non vi sono tracce". Si sono spezzati a causa dei colpi sul cranio di un oggetto dal bordo tagliente., Poggi è stata trascinata verso le scale e il seminterrato. L'autore del gesto si è "imbrattato" le mani col sangue. Si è spostato in bagno come risulterebbe dalle "numerose impronte di una suola ‘a pallini' numero 42" di una scarpa marca Frau, come il paio acquistate da Stasi poco tempo prima del delitto. Nel processo la Procura generale di Milano ha mostrato anche la "fotografia del pigiama" di Poggi, imbrattato di sangue, su cui sono "chiaramente visibili" tracce delle dita del killer. Discorso simile per la "impronta papillare" vicino alla serratura della porta d'ingresso che potrebbe portare alla "esclusione" del condannato dalla scena del delitto. E' citata nella stessa annotazione dei carabinieri, successiva a un esposto dell'allora avvocata di Alberto Stasi, Laura Panciroli, e ad "alcuni episodi di pedinamento, molestie" che avrebbe subito l'altra legale, Giada Bocellari. Circostanza in seguito alla quale gli investigatori hanno ritenuto per "comprendere meglio i fatti" di rileggere "l'intero fascicolo" (in realtà parziale e acquisito integralmente venerdì) riscontrando elementi che "potrebbero non mettere fine alla vicenda giudiziaria". Fra questi l'impronta all'ingresso dell'abitazione. Riscontrata la prima volta 3 giorni dopo l'omicidio, il 16 agosto, si trova nei pressi della manopola della porta, "passaggio obbligato" da cui sono transitate "numerosissime persone". Fra queste Alberto Stasi nel pomeriggio dell'omicidio, definendolo un tentativo di cercare Chiara, e riconosciuto al contrario dai giudici come un modo di crearsi un alibi distogliendo i sospetti. Di lì sono passati anche i primi soccorritori, convinti di trovarsi di fronte a un'aggressione non letale e che "verosimilmente" non hanno prestato "attenzione ad evitare contatti". Le tracce sarebbero ad ogni modo "non databili". Durante i rilievi sono state trovare anche impronte degli allora vice comandante del Ris, del comandante del Reparto operativo carabinieri di Pavia e di un falegname intervenuto per lavori in casa. Per i primi inquirenti la "irrilevanza investigativa" scaturisce dal fatto che se anche la traccia fosse di Stasi non farebbe altro che confermare la sua frequentazione "pacifica" della casa. Se non appartenesse a Stasi confermerebbe che nei giorni e mesi precedenti sono entrate altre persone. "Di certo" non esclude la presenza del 41enne, detenuto a Bollate, e "non è idonea" ad accertare la presenza di altri killer. Idea già "ipotizzata" durante il dibattimento di primo grado ed esclusa con una "complessa perizia tecnica": non ci sarebbe stato spazio per transitare in due persone nello "stretto disimpegno" tra e "scale e il seminterrato" dove è stato trovato il corpo "senza imbrattarsi di sangue".
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