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Il delirio della Salis: gli scafisti con i migranti come chi salvò gli ebrei
Oggi 01-12-25, 08:03
L'unica spiegazione è che Ilaria Salis sia in preda a un vero e proprio delirio. Le avrà fatto male la sosta in Ungheria, o gli scranni blu del Parlamento Europeo, o sarà nata così, chissà, comunque questa ripugnante abitudine a obliare anche il minimo buon senso a favore di un'ideologia priva di senso non può che contenere in sé qualcosa di patologico. E nel caso non fosse una patologia che con alterazioni strutturali e funzionali devia dalla norma, allora il caso Salis si manifesterebbe imperdonabile in tutta la sua tragicità. La tragicità sta comunque nella negazione che la tratta di esseri umani sia un crimine, e che chi la favorisce contribuisca a mettere in pericolo vite innocenti. L'intervento della Salis al Parlamento europeo dell'altro giorno è stata una sorta di lezione di semantica inquinata dai sui deliri, in questo caso "delirio di riferimento", quello per il quale chi ne soffre crede che certi eventi abbiano un significato speciale, e che soltanto loro siano in grado di analizzarli. La Salis si è alzata dalla sua seggiolina imbottita e ha elargito la sua "letcio" con traduzione simultanea in 24 lingue per spiegare ai colleghi la differenza fra «trafficanti» e «scafisti». Nello specifico la Salis ha definito gli scafisti come coloro che: «Organizzano l'attraversamento di un confine chiuso per persone che hanno scelto volontariamente di partire e pagano per il servizio» e non va affatto bene chiamarli trafficanti né contrabbandieri, anzi gli scafisti rendono un servizio di valore». Poi, in quanto la Salis è puntigliosa e anche questo depone alla possibilità di una patologia in corso, arriva il paragone più sconcertante: affianca gli scafisti contemporanei ai giusti che, durante il nazifascismo, aiutavano gli ebrei a sfuggire alle deportazioni. Già, proprio così. Lo fa con un lungo post, in cui ricorda il 1938. Siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando «a Ventimiglia e dintorni, pescatori e montanari organizzarono reti clandestine per facilitare la fuga in Francia degli ebrei attraverso un confine chiuso e militarizzato. Compievano un'azione illegale, ma eticamente giusta. Di norma, come riportano le fonti storiche, si facevano pagare per il servizio offerto. (Gli antifascisti, però, quando si trovavano davanti persone che non potevano permettersi la tariffa, le accompagnavano comunque, senza chiedere nulla)». Ed ecco il paragone che non ti aspetti: «Quegli antichi "scafisti" e "contrabbandieri" del Ponente ligure, di mare e di terra, erano criminalizzati dal regime di Mussolini e braccati dalla sua polizia. Contribuirono a salvare migliaia di vite innocenti che, in assenza di vie legali e sicure per migrare, erano costrette ad affidarsi a loro per evitare la persecuzione. Ieri bollati come traditori della Patria, oggi – ancora per quanto? anche dal governo Meloni? – celebrati come giusti. Chiediamoci se quella storia sia davvero finita, oppure se continui sotto altre forme». Insomma, gli scafisti che portano i migranti sulle nostre coste dall'Africa sarebbero come i pescatori che salvano gli ebrei dalle leggi razziali. Mentre svela questo brillante parallelo appare tranquilla e pacifica, ostenta la pazienza della maestra elementare di fronte a scolari assetati di sapere. Nei suoi occhi si intravede però un velo di lucida, granitica risolutezza, riferibile a un'altra forma di delirio, quello di grandezza. Questo porta l'ammalato ad avere una percezione distorta di sé per cui crede di possedere talenti, poteri, fama o conoscenze molto superiori alla realtà, quello che nelle barzellette sui matti è convinto di essere Napoleone. Solo che questa non è una barzelletta, e non c'è niente da ridere.
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