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JobsAct, l'amarezza di Renzi per gli ex compagni traditori. Ed è scontro con Landini
Oggi 05-05-25, 07:45
In pratica il disastro paventato avendo due galli nel pollaio. Uno è il rodomonte di Corso Italia, Maurizio Landini, quello che si è inventato la teoria dei partiti satellite. Lui detta la linea e il Pd ed il M5S la portano avanti in Parlamento. Il secondo, manco a dirlo, è Matteo Renzi, il più quotato incantatore di serpenti. Destino ha voluto, che entrambi si trovino ad operare nel campo largo, teoricamente a stretto contatto. Destino, a suo modo, beffardo perché una delle prove più rilevanti dell'alleanza in fieri avviene proprio l'8-9 giugno sul referendum per l'abrogazione del Jobs act. Legge che la Cgil da sempre avversa e che l'ex Presidente del Consiglio ha emanato nel 2014, con il consenso entusiastico del Pd. A distanza di più di dieci anni, il Nazareno è praticamente ostaggio della disfida dei due galli. Elly Schlein ha infatti deciso di sposare la causa del sindacato rosso, creando un qualche imbarazzo tra i suoi parlamentari che allora la votarono. E che ora sono costretti ad un pentimento attivo, ovvero votare Sì ai referendum sul lavoro. Come l'ex ministro Andrea Orlando, e il responsabile Economia della segreteria Antonio Misiani, che allora lodarono i benefici effetti del Jobs act, ed oggi sono in prima fila a condannarlo. O come i tanti deputati e senatori costretti a votare contro se stessi o al massimo a tacere. Una lista lunghissima: dalla capogruppo a Montecitorio Chiara Braga, alla vicepresidente del partito Chiara Gribaudo, al senatore Alberto Losacco, fino ad arrivare a tutti i riformisti che si devono rimangiare l'entusiasmo dei bei tempi. Non l'unico problema per il Nazareno, perché intanto hanno cominciato a scaldarsi gli ego del segretario della Cgil e del leader di Italia Viva. Il primo a punzecchiare è stato Matteo Renzi, con un'intervista al Corriere della Sera: «Il sindacato attacca me guardando al passato, anziché attaccare Meloni parlando del futuro. Sarebbe meglio parlare dei veri problemi di oggi che non sono i licenziamenti ma gli stipendi troppo bassi». Un quadro assolutamente infausto, quello disegnato dall'ex sindaco di Firenze: «Questi referendum non cancellano il JobsAct, sono solo il simbolo di una guerra ideologica». Con un finale scontato: «Il quorum non si raggiungerà e non cambierà nulla e tutti, dopo una settimana, si dimenticheranno di questa prova, ma io la prendo sul serio e faccio campagna per far capire che il JobsAct non può essere imputato della precarietà». Senza sconti per gli "ostaggi" dem: «Mi sconvolge l'ipocrisia dei presunti riformisti del Pd che non hanno il coraggio di difendere il JobsAct perché hanno paura di non essere ricandidati». Una chiamata in causa che non poteva essere ignorata da Maurizio il rosso. Proprio da Empoli, il numero uno di Corso Italia ha risposto al senatore fiorentino: «Noi non attacchiamo personalmente nessuno, non attacchiamo questo o quel governo, ma mettiamo in discussione le politiche fatte negli ultimi 25 anni». Un lungo processo per Landini che comprende anche Renzi: «Si dovevano aumentare gli investimenti, l'occupazione e i salari ma è sotto gli occhi di tutti che sono stati aumentati solo i profitti per le imprese e la precarietà. Vuol dire che quelle politiche erano sbagliate». Per il sindacalista non resta che affidarsi a Papa Francesco: «Ci diceva di fare rumore». Ma anche per lo stratega del campo largo il quorum sarà difficile da raggiungere: «Ma non impossibile», chiosa. Insomma due galli, un pollaio, ed un partito che si auto smentisce.
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