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L'intervista a Cesa: "Nato viva e solida. Con gli Usa lavoriamo a nuove cooperazioni anti Russia e Cina"
Oggi 05-05-25, 11:46
La Nato non è un residuo del Novecento, anzi. È più vitale che mai, si allarga, parla con il Pacifico, guarda all'Africa e serra i ranghi di fronte a Russia e Cina. Ne è convinto Lorenzo Cesa, leader della delegazione italiana all'Assemblea parlamentare dell'Alleanza Atlantica. Con lui facciamo il punto sul nuovo volto della Nato, sull'Europa che (finalmente) si riarma e sulla sfida che l'Italia è chiamata a raccogliere. Onorevole Cesa, le tensioni tra Stati Uniti ed Europa si sono sentite anche nei lavori dell'Assemblea parlamentare? «Molto meno di quanto si potrebbe immaginare. Anzi, il dialogo con la delegazione americana è estremamente positivo. Gli Stati Uniti ribadiscono a ogni occasione il loro attaccamento alla Nato. Proprio nei giorni scorsi, abbiamo lavorato insieme per il nuovo segretario generale dell'Assemblea parlamentare, e l'intesa è forte. Quando un giovane parlamentare ucraino ha chiesto di raccontare il sostegno ricevuto a Washington, i colleghi americani - repubblicani e democratici - hanno confermato il massimo appoggio. Nonostante le frizioni che vediamo nei media, dentro la Nato il rapporto transatlantico è solido e vitale». Il sostegno all'Ucraina è quindi ancora saldo? «Sì, assolutamente. E non solo in Europa: anche negli Stati Uniti, nonostante il dibattito politico, il sostegno all'Ucraina resta bipartisan. Lo ha confermato anche il segretario generale della Nato a Odessa recentemente. Questo è un elemento fondamentale: l'Alleanza continua a essere compatta». La Nato, però, sembra guardare sempre più anche oltre l'Atlantico. Penso agli accordi con Giappone, Australia, Corea del Sud... «Questa è la direzione. Stiamo allargando i partenariati con paesi dell'Indo-Pacifico che condividono i nostri valori. Sono dialoghi sempre più strutturati, sia a livello governativo sia parlamentare. E stiamo lavorando anche sul fronte africano: accanto ai rapporti tradizionali con Algeria, Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia, stiamo avviando nuove iniziative di cooperazione, proprio per contrastare la penetrazione russa e cinese». Quindi l'espansione della Nato serve anche ad arginare Mosca e Pechino? «Assolutamente. C'è una presenza russa e cinese sempre più massiccia in molti paesi africani. È un problema reale e strategico, che ci tocca da vicino. Ecco perché è fondamentale curare i rapporti con il Mediterraneo e con l'Africa. Siamo di fronte a una competizione globale, e la Nato si sta attrezzando». Anche gli investimenti europei nella difesa devono rimanere in ambito Nato? «Devono essere complementari alla Nato. Lo dice chiaramente anche il Libro Bianco europeo. L'Europa deve rafforzarsi, ma senza sganciarsi dagli Stati Uniti e dal Canada. Il famoso obiettivo del 2% del Pil in spesa per la difesa non è una richiesta esterna: è una necessità nostra, se vogliamo essere credibili e difendere noi stessi». In Ucraina, però, si è visto che serve anche aumentare la produzione di armamenti. L'Europa si sta muovendo? «Sì, ma siamo ancora indietro. Alcuni paesi, come la Germania, si sono mossi rapidamente: aziende che prima producevano treni ora producono carri armati. Ma c'è un problema di standardizzazione: in Europa per ogni sistema americano ci sono sette varianti europee. Dobbiamo omologare i sistemi e coordinare gli eserciti. Non sarà facile arrivare a un esercito comune europeo, ma un coordinamento serio è indispensabile. Anche per colmare il gap industriale rispetto alla Russia: oggi il rapporto nelle produzioni è 30 a 100, non possiamo continuare così». Questa spinta alla difesa è destinata a durare? «La guerra in Ucraina ha svegliato tutti. E le crisi non sono solo nell'Est: basti guardare ai Balcani, dove tensioni tra Serbia e Kosovo sono altissime. L'Europa deve rafforzare il suo sistema di difesa ora, senza indugi». E l'Italia? È pronta a raccogliere questa sfida? «Io credo di sì. La maggioranza di governo ha preso coscienza della necessità di raggiungere il 2% del Pil in spesa per la difesa. Non per fare un favore alla Nato, ma per difendere noi stessi. Dobbiamo correggere il bilancio, spostando correttamente alcune voci già esistenti, e poi aumentare gli investimenti. E non si tratta solo di sicurezza: rafforzare l'industria della difesa significa anche creare posti di lavoro, innovazione, crescita economica. Leonardo, Fincantieri, Mbda sono eccellenze italiane che possono trainare intere filiere. Questa è una sfida strategica. La volontà politica c'è, faremo ciò che serve».
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