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La delirante intervista al figlio di Riina: “Era un uomo onesto. Non c'entra con la strage di Capaci”
19-09-2025, 10:37
Un'intervista destinata a far discutere quella rilasciata da Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss di Cosa nostra Totò Riina, al programma “Lo Sperone podcast”. Un intervento dai toni provocatori e negazionisti in cui l'ex detenuto, condannato a otto anni per associazione mafiosa, non solo assolve il padre dalle stragi più sanguinose della storia repubblicana, ma arriva a definirlo un “uomo con la U maiuscola”. Le dichiarazioni hanno sollevato un'ondata di indignazione, soprattutto in Sicilia, dove la memoria delle stragi del 1992 – in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – è ancora una ferita aperta. Ma per Riina jr., la narrazione ufficiale sarebbe solo un inganno. Secondo Giuseppe Salvatore Riina, suo padre non sarebbe stato coinvolto né nell'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996, né nella strage di Capaci. “Giovanni Falcone, quando l'hanno ammazzato, non dava più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte”, ha dichiarato, puntando il dito contro presunti poteri occulti che avrebbero avuto interesse a eliminarlo. Un'affermazione sconcertante, soprattutto alla luce delle decine di ergastoli inflitti al padre Totò Riina, giudicato mandante e regista delle stragi del '92-'93. Eppure il figlio insiste. “Non ho mai visto mio padre compiere un atto di violenza o tornare a casa con una pistola in mano e sporco di sangue – ha continuato –. È stato arrestato perché dava fastidio, così come Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, perché erano malati e non servivano più a chi deteneva veramente il denaro della mafia”. Riina jr. non risparmia elogi al padre. “Era un uomo serio, onesto, pensava alla sua famiglia e combatteva il sistema”, ha spiegato. Nessun accenno di pentimento, nessuna presa di distanza da Cosa nostra. Al contrario, l'intervista rilancia la teoria secondo cui la mafia siciliana sarebbe solo un tassello secondario di un sistema di potere più grande, con sede a Roma, dove secondo Riina “ci sono i veri detentori del potere economico, quelli che muovono i fili dietro le quinte”. In un passaggio che ha fatto particolarmente discutere, il figlio del boss ha paragonato la propria infanzia – segnata dalla latitanza e dalla vita in clandestinità – a quella dei bambini di Gaza. “Io come i bambini a Gaza”, ha detto, descrivendo quegli anni come una continua emergenza, ma con un tono quasi nostalgico, come se quelle esperienze fossero motivo di vanto. L'intervista tocca anche il tema delle stragi del '92, senza però fornire elementi nuovi, se non la reiterazione di tesi negazioniste. Secondo Riina, i veri mandanti delle stragi sarebbero stati altri, legati a interessi economici, riciclaggio e appalti. Quando gli è stato chiesto se provasse dispiacere per la morte di Falcone e Borsellino, ha risposto con freddezza: “Mi è dispiaciuto perché sono morti, e a differenza di altri colleghi, loro facevano fatti”. Non manca l'attacco frontale all'antimafia istituzionale, definita da Riina “un carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori”. A sostegno di questa tesi, ha citato due casi controversi: il giudice Silvana Saguto, coinvolta in uno scandalo sulla gestione dei beni sequestrati alla mafia e l'imprenditore Antonello Montante, condannato per corruzione. Entrambi, secondo Riina jr., sarebbero esempi di “antimafiosi di facciata”. Durissima la replica del presidente della commissione regionale Antimafia Antonello Cracolici che ha commentato così l'intervista: “Non sentivamo il bisogno di ascoltare le opinioni del figlio di Totò Riina, convinto di spiegarci che uomo buono era suo padre. Non offenda la nostra terra. Mi chiedo che tipo di informazione sia quella che cerca di accreditare verità che sono state sconfessate dai tribunali in nome del popolo italiano”. L'intervista a Lo Sperone podcast è stata accolta da applausi da parte del pubblico presente, un dettaglio che ha contribuito ad accendere ulteriori polemiche. La scelta editoriale di offrire spazio a queste posizioni ha sollevato interrogativi sul ruolo dell'informazione e sul confine tra libertà di espressione e apologia di un sistema criminale. In un Paese che ha pagato un prezzo altissimo nella lotta alla mafia, le parole di Giuseppe Salvatore Riina suonano come un ritorno al passato che molti credevano superato. Ma l'intervista dimostra quanto il mito del boss “giusto”, seppur smentito dalla storia e dalle sentenze, continui ad avere terreno fertile in certe narrazioni.
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