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La linea di Picierno: “Ricci vada avanti. Conte fa il censore, con lui è difficile creare l'alternativa”
Oggi 26-07-25, 07:53
Quando parla lei, il Nazareno entra in agitazione. Pina Picierno, in pratica l'anti-Elly per meriti acquisiti nel Parlamento Europeo (e non solo). Che cosa sta succedendo nelle Marche? Giuseppe Conte è diventato il vostro signor No? «Succede che qualcuno si sente investito da una funzione censoria, da nessuno riconosciuta. Abbiamo una candidatura forte che appartiene alla grande tradizione di amministratori capaci del Partito Democratico, la migliore che possa offrire il paese. Strappare alla destra quella Regione è alla portata. Siamo stati colpiti da un'indagine, curiosamente anticipata da Italo Bocchino. Confido in ogni caso nel lavoro degli inquirenti, ma per una valutazione politica a me bastano le parole di Ricci. A Conte invece piace rimestare nel torbido, chiede le carte, tiene l'alleanza in attesa della sua sentenza. Io penso che così sia difficile costruire l'alternativa». Lei chiede rispetto per i vostri amministratori e candidati. Da chi li difende? «Mi rendo conto della difficoltà, ma è tempo di stabilire principi e valori condivisi: gli amministratori del PD lavorano quotidianamente, attraverso tutto il paese, per le proprie comunità. Amministriamo migliaia di municipi, città metropolitane, regioni, con una capacità e sobrietà diffusamente riconosciuta. Le analisi del sangue ce le fanno i cittadini tutti i giorni e certamente non dobbiamo dimostrare a Conte un bel niente». Essere testardamente unitari ha ancora senso? «Si parte da quello. Non serve un mago dei numeri per capire che la destra si batte a partire da una coalizione larga, che includa tutte le forze che oggi si oppongono al governo. Ma guai a coltivare l'illusione che possa bastare. Serve una proposta credibile di governo del paese, di cambiamento radicale delle sue storture e dei suoi ritardi, di competitività e coesione per imprese e lavoratori. Invece si campa alla giornata, con uscite estemporanee, da una non meglio specificata patrimoniale al ritorno della scala mobile». Beppe Sala a Milano ha chiesto autonomia decisionale, ad esempio su San Siro. Ha ragione? «Ha ragione Milano, non solo Beppe Sala. Le scelte urbanistiche competono alle città e alle loro amministrazioni. Nel rispetto della legge, sono scelte che non possono essere sindacate se non dai cittadini. Noto una certa regressione sul tema delle autonomie locali, una voglia di centralismo lontana dalla nostra cultura istituzionale». La direzione del Pd sulla sconfitta referendaria è stata rinviata a settembre. Non è troppo tardi? «Non è mai troppo tardi, ma quando si vuole riflettere sugli errori e correggere la direzione politica il tempo non è una variabile indipendente. È stato un errore affidare al responso popolare una materia che riguarda le relazioni industriali; è stato un errore favorire la rottura sindacale; è stato un errore accampare vittorie immaginarie sulla destra, spostando gli elettori da una competizione all'altra; è stato un errore guardare al Jobs Act come ad un simbolo del passato da abbattere. Ora, c'è bisogno di correggere, a partire da una nuova relazione con tutti i sindacati e da nuove proposte per le imprese e il lavoro. Possibilmente, senza ritorni al gas russo». La «tenda» riformista la appassiona? «Se capissi cos'è, riuscirei magari a rispondere. C'è l'esigenza di un più robusto e centrato protagonismo dei riformisti nel campo largo e nel Pd. Su questo non solo non ci piove, credo di lavorarci quotidianamente fin troppo. Se invece traduciamo questa esigenza, squisitamente politica e culturale, in un accrocchio mal composto di tutte le generiche esperienze un po' più moderate, un po' più civiche, un po' più cattoliche della gioiosa macchina da guerra guidata da M5S e da AVS, sbagliamo tutto. È sì una tenda, ma del circo Barnum. Bisogna dare una nuova fisionomia, una nuova proposta, una nuova cultura ai riformisti italiani ed europei. Serve più coraggio, un'ambizione più grande. Dentro il Pd e fuori dal Pd».
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