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La mossa di Meloni fra record e ProPal, i "sussurri" dal palazzo
Ieri 28-09-25, 14:57
Il potere logora chi vuol durare. E, con questo clima, arrivare al 2027 è davvero un'impresa. Per la prima volta, un ministro di lunga esperienza come Maria Elisabetta Casellati, rispondendo a Nicola Porro durante l'evento dei 25 anni dello studio Hogan Lovells, ha ammesso: «Non credo a elezioni anticipate, ma forse la legislatura potrebbe chiudersi un po' prima». Una tentazione che serpeggia nel centrodestra, che però Meloni respinge: punta al primato assoluto a Palazzo Chigi. Per battere il record di Berlusconi, 1412 giorni, (Mussolini resta inarrivabile) la data è fissata: settembre 2026. A quel punto, l'ostacolo del Quirinale diventerebbe evitabile. Difficile che Mattarella neghi il voto anticipato: senza Fratelli d'Italia nessun governo reggerebbe e, oggi, l'ipotesi di un tecnico alla Draghi appare fantapolitica. Andare alle urne nel settembre 2026 significherebbe non solo conquistare il record di longevità, ma anche evitare un altro anno di scossoni interni e internazionali che rischiano di erodere il prestigio della premier, dando alle opposizioni tempo per ricompattarsi, come stanno già facendo cavalcando crisi globali e il fermento delle piazze. Il 2025 è stato palcoscenico dell'instabilità mondiale, ma è in Italia che le crepe diventano voragini. Il governo naviga tra dossier esteri esplosivi e opposizione che fiuta il cedimento. Intorno al potere si moltiplicano correnti: fronde interne, lobby energetiche e militari, manovre digitali, pressioni europee, la sinistra che si riorganizza con la solita ben nota «casamatta» da mettere in campo. L'economia mostra numeri che, visti da lontano, reggono, ma la quotidianità racconta altro: spesa più cara, bollette pesanti, famiglie in affanno. Due date hanno riscritto lo scenario geopolitico mondiale, con un impatto inevitabile sulla vita dei cittadini: 24 febbraio 2022 e 7 ottobre 2023. L'invasione russa dell'Ucraina ha trasformato l'Europa in un laboratorio di guerre ibride; l'attacco di Hamas ha riportato il Medio Oriente nel vortice della violenza, risvegliando terrorismo e conflitti religiosi. Putin intrappolato nelle sue stesse ambizioni, Netanyahu logorato, mentre Kim e Xi alimentano tensioni calcolate. E le capitali tremano, gli Usa – con Pil, occupazione e Borsa ai massimi – vivono il paradosso Trump: divisivo, eppure percepito come ancora di stabilità nel caos. Prevost non ancora padrona della scena. Palazzo Chigi ha provato a mantenere una linea coerente: mediazione calibrata, fermezza sugli ostaggi, rifiuto di legittimare Hamas. Tuttavia la coerenza non basta di fronte alla nuova guerra asimmetrica. La notte tra il 23 e il 24 settembre, la Global Sumud Flotilla – più una provocazione che una missione umanitaria – è stata colpita in acque internazionali. L'intelligence italiana parla di operazione chirurgica, senza basi identificabili, più intimidazione che strage. Le nostre fregate hanno soccorso, non colpito: mancavano autorizzazioni offensive. Da qui la voce alta di Mattarella, probabilmente sollecitata dai nostri servizi per prevenire possibili escalation israeliane e mettere la protesta nelle mani del Patriarca di Gerusalemme. Le piazze riflettono il terremoto. Ci sono più studenti formati da TikTok che universitari in corteo: appelli alla disobbedienza civile, drappi palestinesi indossati a mo' di passamontagna, provocatori pronti a far scappare il morto. A Milano, le proteste sono degenerate: vetrine distrutte, lacrimogeni, minorenni coinvolti: ieri a Torino hanno assaltato l'aeroporto. Ma il teatro più inquietante resta quello hi-tech: droni misteriosi sorvolano città e infrastrutture, GPS jammati nel Baltico mandano in tilt la navigazione civile, Von der Leyen costretta ad atterrare in emergenza per un blocco agli strumenti, malware che colpiscono reti ferroviarie e centrali elettriche. Un copione da gameplay. L'intelligence lavora senza tregua: analisti seguono tracce digitali, tecnici smontano schede madri senza marchi, pacchetti di dati inseguiti in fuga. Si parla di «corridoi di interferenza» e «nodi satellitari oscurati». Ogni mese un nuovo enigma: chi manovra i droni? Chi firma gli attacchi informatici? Il risultato è un Paese in allerta: confini, porti, stazioni, reti elettriche e del gas sotto sorveglianza. Operazioni sotterranee si intrecciano con schermaglie diplomatiche mentre l'ombra dei servizi diventa parte integrante della politica quotidiana. A complicare tutto, la giustizia. Il vecchio cliché dei «pm di sinistra» torna utile come grimaldello, anche se oggi i procuratori delle principali città appaiono più moderati. Ma il referendum incombe e promette di incendiare ancor di più le piazze. Nel frattempo, nelle chat dei pm più politicizzati è in corso un dibattito serrato per eludere la riforma: cambiare strategia e migrare verso la Magistratura giudicante, da dove poi non si scappa più. Cartina di tornasole il processo Salvini in Cassazione. Anche la riforma del premierato, bandiera della maggioranza, è sotto un fuoco incrociato: un salto nel buio, come fosse un attentato al Santo Graal della Costituzione. Vecchie opposizioni, sindacati, toghe e frange radicali cercano convergenze. Pronti a infilarsi i soliti gruppi facinorosi: Pro-Pal, no-Tav, Black Bloc, professionisti del caos che rispondono spesso ad apparati stranieri. Guerriglia urbana addestrata, che tiene in allerta Viminale e sicurezza nazionale. Meloni è stretta in un paradosso: più resta, più rischia il logoramento. Ma il voto anticipato del 2026 potrebbe offrirle un doppio vantaggio: un record storico e una nuova legittimazione per poi correre nel 2029 verso il Quirinale, dove già oggi Dario Franceschini, il più vicino dei leader politici a Mattarella, ha alzato le barricate. La scelta è fra resistere fino al 2027 o trasformare l'azzardo in opportunità, senza concedere tempo al fronte avverso di compattarsi, con la Salis (non Ilaria) già pronta ai blocchi di partenza sotto la regia di Fausto Brizzi. Alla fine, per la premier il dilemma è sempre lo stesso: resistere fino all'ultimo giorno o staccare la spina in anticipo. Perché in politica, come a poker, vincere significa soprattutto sapere quando passare la mano. Magari bluffando un po', per poi incassare l'intera posta.
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