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L'intervista a Minniti: “Sta tornando la diplomazia. Meloni ponte fra Europa e Usa”
Oggi 19-04-25, 07:42
«La diplomazia sta tornando e l'Italia si posiziona come punto di riferimento per il dialogo internazionale in una fase di grandi tensioni». A dirlo è l'ex ministro dell'Interno, oggi Presidente della Fondazione MedOr, Marco Minniti, che ha analizzato con noi la visita della Presidente del Consiglio da Donald Trump, poi l'incontro di ieri con JD Vance, infine le intricate dinamiche internazionali al centro delle trattative, nonché il ruolo dell'Ue. Cosa abbiamo ottenuto dopo la visita alla Casa Bianca? «La visita è stata un successo, sia sul piano politico che personale. Il vero risultato è proprio in questo: l'Italia, e con essa il suo Presidente del Consiglio, si sono affermati come un interlocutore speciale per Trump e la sua amministrazione. Un'interlocuzione non confinata al rapporto bilaterale, ma messa a disposizione dell'Europa, come testimonia la comunicazione costante con la Presidente von der Leyen e il fatto che, al rientro in Italia, fosse già previsto un contatto telefonico per valutare insieme i risultati della missione». Ci siamo impegnati a raggiungere il 2% del PIL nella spesa per la difesa, aumentare le importazioni di gas naturale e a investire direttamente negli USA. «Tre impegni gravosi ma non incompatibili con il nostro interesse nazionale». Cosa le ha permesso di ottenere questo tipo di interlocuzione? «Ha saputo presentarsi con un duplice profilo: da un lato atlantista, convinta dell'importanza del rapporto con gli USA, e dall'altro europeista, consapevole che tale rapporto transatlantico può essere gestito solo se c'è un'UE coesa. Inizialmente Trump aveva puntato su un'Europa divisa, con ogni Stato membro pronto a negoziare individualmente. Un approccio, quello di Trump, fondato su una sorta di unilateralismo radicale. La Meloni ha beneficiato sia del fatto di condividere con Trump una visione conservatrice, sia di una personale capacità di creare rapporti umani, che giocano un ruolo importante nei rapporti diplomatici». Mentre la Meloni era con Trump due esponenti americani, Marco Rubio e l'inviato speciale per l'Ucraina Witkoff, erano a Parigi. «Un segnale chiaro. Gli USA hanno voluto mostrare attenzione all'intera Europa, manifestando il dubbio che una strategia volta a dividere l'Unione potrebbe essere del tutto inefficace». Un'Europa che si è mostrata più coesa del previsto. «Sì. L'Europa, pur tra molte difficoltà, ha dimostrato una capacità di reazione che spesso viene sottovalutata. La vera forza risiede nell'unità. Il rischio è quello che chiamo la “Biancaneve e i 27 nani”: con gli USA nel ruolo di Biancaneve e i Paesi europei, presi singolarmente, troppo piccoli per contare. In questo contesto, la visita della Meloni ha aperto una strada». Lo stesso Trump ha messo sul tavolo un accordo. «Ha dichiarato che l'accordo con l'Europa si realizzerà al 100%, e si è mostrato ottimista anche sulla possibilità di intese con la Cina. Se la visita della Meloni porterà a un viaggio di Trump a Roma e a un confronto con i vertici UE, potremo dire che lei è stata un'apripista. I nodi non sono ancora risolti, ma si va nella giusta direzione». E la Cina? Come ha osservato questo incontro? «È preoccupata dalla guerra dei dazi, ma non spaventata. La leadership cinese ha spesso trasformato le difficoltà internazionali in strumenti di mobilitazione interna. Il sistema cinese si fonda su un patto implicito: in cambio della rinuncia alla democrazia, la popolazione ha ottenuto una crescita economica significativa. Ma se questa crescita rallenta, il patto rischia di incrinarsi. È per questo che la Cina sta intensificando la propria attività diplomatica e commerciale, soprattutto nei Paesi asiatici più esposti al confronto con gli USA». Quanto è importante che l'Europa apra a nuovi mercati? «Deve evitare di lasciare alla Cina il monopolio dei rapporti con il Sud globale. Bisogna rafforzare le relazioni con India, Paesi arabi, Sud America e Africa. Rientrano in quest'ottica la recente visita della Commissione Europea in India e il rilancio del Piano Mattei, che deve diventare una proposta europea. Un'Europa con questo profilo non può essere esclusa dalla competizione globale tra USA e Cina». C'è anche la questione delle terre rare... «Fondamentali per l'innovazione tecnologica e l'intelligenza artificiale: la Cina è il primo possessore al mondo. Gli USA cercano alternative, come un accordo con l'Ucraina, che tuttavia presenta molte incognite, sia per la localizzazione dei giacimenti, sia per la guerra in corso. Inoltre, molte aziende americane, come quelle di Musk, hanno gran parte della loro produzione in Cina o dipendono da essa». A proposito di Ucraina, Meloni ha ribadito loro il sostegno. «Sì è colta una differenza tra le due posizioni, ma è significativo che la Meloni abbia ribadito pubblicamente l'impegno dell'Italia a garantire la libertà del popolo ucraino, e affermarlo in un contesto così delicato ha un valore politico significativo. Purtroppo, le possibilità di una tregua appaiono oggi molto lontane». La visita di Vance in Italia può essere letta come una continuità dell'incontro con Trump? «Sì, anche se non formalmente programmata, contribuisce a rafforzare una continuità simbolica. A questo si aggiunge anche l'incontro previsto tra USA e Iran e la scelta di Roma come sede del colloquio conferisce all'Italia un ruolo importante. Il tema è delicatissimo: la possibilità di negoziare un nuovo accordo sul nucleare iraniano, dopo che il precedente accordo, il JCPOA, era stato abbandonato da Trump perché ritenuto troppo favorevole all'Iran». E Israele? «Trump ha bloccato le intenzioni di Benjamin Netanyahu di colpire direttamente i siti nucleari iraniani. La scelta del negoziato, pur difficilissimo, è una scelta politica importante. Anche perché la parola pace, che Trump ha messo al centro del suo messaggio politico, appare, purtroppo, sia in Ucraina, che in Medio Oriente, ancora lontana».
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