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Long weekend travestito da sciopero: una brutta sceneggiata
Oggi 22-09-25, 16:17
Chiamarlo sciopero è un insulto al buon senso. Quello del 22 settembre è soltanto un prolungamento del fine settimana, un «ponte» studiato a tavolino. Capita di lunedì e la tentazione di attaccarlo a sabato e domenica è fin troppo evidente. Altro che lotta sindacale: è un lungo weekend travestito da protesta, un espediente per garantirsi tre giorni filati senza lavoro. Ma il punto non è solo la furbizia del calendario. Manca il nesso con l'unica funzione seria dello sciopero: difendere i lavoratori, i loro salari, la loro sicurezza. Qui non c'è nulla di tutto questo. Non si sciopera per un contratto, per un rinnovo bloccato, per turni infernali o per cantieri insicuri. Si sciopera-dicono i promotori, da USB a CUB, da SGB ad ADL - «per Gaza». Già: per Gaza. Ed è qui che la vicenda precipita nel ridicolo e nello scandaloso. Se in Italia si indice uno sciopero generale «per Gaza» e non si è mai scioperato per il 7 ottobre 2023 - la mattina in cui Hamas ha massacrato, bruciato, mutilato, rapito- il messaggio è chiarissimo: quelle vite non contano. Non uno sciopero per i missili di Hezbollah dal Libano, non per i droni e i missili dell'Iran, non per i razzi degli Houthi che bloccano rotte e porti e fanno impennare i costi di chi lavora davvero. Per colpire Israele, invece, eccoci pronti, bandiere al vento e slogan prefabbricati. È l'ipocrisia elevata a programma. Questo «long weekend» travestito da sciopero non c'entra nulla con i diritti sociali: è un atto politico di conio malvagio, mirato a una cosa sola, marcare l'ennesimo cartellino dell'ideologia anti-israeliana. I lavoratori diventano comparse, i cittadini utenti pagano i disagi, il Paese perde produttività, e qualcuno si regala il ponte. Il sindacalismo vero è un'altra cosa: risolve problemi concreti, tratta, firma, verifica. Qui, invece, si sfrutta il potere di fermare i servizi per urlare il proprio tifo geopolitico, spacciandolo per coscienza civile. Se davvero la bussola fosse la pace, si sarebbe scioperato anche per i bambini israeliani sequestrati, per le famiglie sotto i razzi, per i marittimi che rischiano la vita nel Mar Rosso per gli attacchi dei pirati, per i pendolari e gli autisti italiani che pagano l'inflazione della logistica scatenata dagli Houthi. Ma no. Silenzio allora, megafoni oggi. Una coerenza da manuale del doppiopesismo. In testa, dunque, il fine settimana lungo. In coda, una brutta operazione politica. In mezzo, niente: nessuna proposta, nessuna trattativa, nessun passo avanti per chi lavora davvero. Lo si ammetta almeno: non è sciopero, è una sceneggiata. Ma c'è ancora un punto su cui occorre parlare «prima». Proprio perché sono scioperanti indegni di tale nome non deve essere consentito loro di esagerare nelle manifestazioni, tutte le leggi debbono essere rispettate, lo tenga presente il garante nazionale dell'ordine pubblico, cioè il ministro dell'Interno Piantedosi. Già ci becchiamo uno «sciopero» che grida vendetta, ci manca solo che facciano altri danni.
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