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Martina uccisa a 14 anni, Vittorio Feltri: quei ragazzini assassini al primo "no"
Ieri 31-05-25, 09:15
Afragola d'ora in poi sarà solo Martina. Non la stazione avveniristica disegnata da Zaha Hadid che corre come un serpente sinuoso in una campagna acerba. Non la piazza storica che ha il fascino delle domeniche del sud incorniciate nel cielo terso. O la basilica di Sant'Antonio da Padova dove sono accorsi a pregare i frati francescani subito dopo il delitto, mentre le vedove pie vestite di nero camminavano lente invocando la benedizione. Sarà solo Martina. Uccisa a 14 anni dal ragazzino che non voleva più. Presa per mano e portata in un casolare pieno di solitudine e degrado e poi massacrata a sassate sulla testa perché la sua testa non capiva che doveva stare per sempre e solo con quel ragazzo senza nerbo. E il paese è tutto lì, che si interroga nei vicoli stretti e nelle case dipinte di bianco. Che sfrucuglia i ricordi e il vicinato alla ricerca di particolari morbosi, (le passeggiate nel paese, la lettera che la 14enne scriveva al fidanzatino…) e cerca in tivù la risposta alle domande mentre si accavallano pareri di esperti, luminari, psicologi e criminologi. Mentre sfilano le lacrime di due genitori che hanno perduto tutto e non lo ritroveranno. E ogni solone dice la sua, e ogni volta sembra la sentenza definitiva. Un'altra Garlasco? No, per carità, qui tutto è già chiaro e non ci vorranno 18 anni per sbattere in galera il vero colpevole. Ma a volte non basta sciogliere un mistero per venire a capo della verità. Io non ho sentenze in tasca. Solo sensazioni di un povero cronista che ne ha viste tante. Ma quello che mi ha colpito di questa brutta storia è l'età. 14 anni la ragazzina, anzi 12, quando tutto è cominciato. Una bambina. Il limbo dell'innocenza. Delle bambole messe in un angolo per correre a chiamare l'amica. Dei bigliettini scemi scambiati con il compagno di classe. Del primo bacio rubato sotto casa. Dei sogni da snocciolare sul tappeto. Dell'amore che si svela ma è solo un sussurro e una timida carezza. Invece Martina e Alessio giocavano alla vita vera: lei con i trucchi, le pose da donna e le labbra tinte di rossetto e lui con i modi da maschio possessivo e prepotente che vuole controllare la vita della ragazza e si dispera appena lei lo lascia perché ha conosciuto un altro sui social…. Ho pena infinita per quella adolescente uccisa e per i suoi genitori che si danneranno per l'eternità alla ricerca di un senso. Ma quel video che ritrae gli ultimi istanti di vita di Martina - lei che passeggia leggera nella piazza e gli offre il gelato, Alessio che cammina, infila le mani nella testa riccioluta in preda a una disperazione animalesca - è sintomatico di uno stato d'animo che non ha a che fare con la giovinezza. So di camminare in un terreno impervio. E non mi aspetto riconoscenza dalle femministe in trincea a caccia di un patriarcato espiatorio da mettere al patibolo. Ma analizzare questo delitto come l'ennesimo caso politico e scendere in piazza, come faranno le scolaresche di mezza Italia, contro la cultura del patriarcato e il governo Meloni che sarebbe spuntato da un medioevo moderno al puro scopo di rintuzzare la piaga è pura scemenza. E serve solo a sviare l'attenzione dal problema principale. I valori perduti. L'adolescenza che sta scemando. E i genitori che si sono affrancati dal loro ruolo di guida. A un ragazzino devi dire di no se esce a mezzanotte. Se si mette in una relazione tossica. Se perde le giornate sui social. Se cerca sotterfugi. Se si veste o si sveste da grande per attirare gli sguardi. Se scimmiotta una relazione adulta. Quell'educazione all'affettività che si invoca nelle scuole, pensando che davvero i docenti già abbastanza frustrati e prostrati dal lavoro abbiano il tempo, la voglia, i modi di spiegare l'amore e il rispetto ai ragazzi, deve cominciare anzitutto in famiglia. La mela non cade distante dall'albero, dicevano gli anziani e rendeva abbastanza bene l'idea del ruolo fondamentale che si impone ai genitori. Ci vogliono autorevolezza e severità. Capacità ed empatia. Ma anche dinieghi. Penso alle nostre vite da ragazzi. Quando gli ormoni ci correvano a fianco desiderosi di sedurre la vita. Ma tutto avveniva gradualmente, il passaggio dalla fanciullezza all'esistenza adulta. E i sentimenti erano filtrati dalla leggerezza di un tempo acerbo. I no delle famiglie a volte erano troppi ma pur sempre sacri. Fortificavano lo spirito, nutrivano l'aspettativa e lasciavano che l'esperienza si sedimentasse lentamente sulle spalle e nel cuore di noi imberbi avvicinandoci all'età matura. È bizzarro lo so, ma mi viene in mente Pascoli, la sua poetica del fanciullo, quell'eterno ritorno all'infanzia che noi adulti aneliamo e i bambini hanno già perduto. Quanto al ragazzo che ha commesso il crimine - come mille prima di lui con il coltello in tasca e l'acceleratore nel cervello per finire nel sangue quello che non vogliono e non riescono a risolvere con le parole - vorrei dire che ecco, non è tutto facile come si vede su tik tok. E scusate la banalità. Ma forse lo studio, forse un progetto, forse lo zelo nel lavoro (mi risulta che si impegnasse solo saltuariamente come muratore) lo avrebbero aiutato a darsi una raddrizzata. Esistono anche gli assassini colti, questo è vero, Turetta ce l'ha insegnato. Ma è vero che un po' di cultura riempie i vuoti. E il lavoro nobilita nel senso antico dei nostri nonni. Non tutto è social e fruibile in un istante. Ma molto di quello che si vede sui social è scemenza. E ci vogliono tempo, pazienza e sacrificio per diventare persone perbene. Per affrontare un addio struggente. O non buttare la vita, propria e di due famiglie, in un casolare di Afragola che ora nei talk show, nelle carte geografiche e nelle nostre menti, sarà solo e sempre Martina… i suoi sogni schiacciati con un sasso, il suo sorriso di bambina che diceva all'assassino «cambierò amore mio ma voglio sposarti».
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