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Messina Denaro padre-padrino. Lirio Abbate racconta i diari del boss: l'intervista
25-01-2025, 09:57
Da una parte l'ultimo grande padrino di Cosa nostra, l'inafferrabile boss capace di sfuggire alla giustizia per trent'anni e di domare l'imprevedibilità con la connessione tentacolare della sua organizzazione criminale e con l'attenzione maniacale per i dettagli; dall'altra il padre, mai rinnegato ma tenuto lontano, che guarda la realtà con lenti deformanti e che la riformula per la figlia Lorenza, l'unica «variabile che mette in crisi l'equazione» insieme alla malattia. Sono queste le due creature che convivono nel ritratto che Lirio Abbate, cronista di razza e autore di esclusive inchieste su corruzione e mafie, fa di Matteo Messina Denaro. Partendo dai diari segreti, i «libricini» che il nemico pubblico numero uno stesso ha scritto con uno stampatello ordinato e che sono stati poi ritrovati in una perquisizione dopo l'arresto del 16 gennaio 2023, il caporedattore de «la Repubblica» porta alla luce l'uomo e lo stragista che è caduto in trappola solo a causa di un tumore al colon e che, in un flusso instancabile di parole, si è raccontato alla sua primogenita. «Non è cambiato niente. Oggi lui e la sua famiglia sono ancora persone rispettate. La gente va a deporre i fiori gialli che amava di fronte alla sua cappella. E la decisione arrivata in queste ore della figlia Lorenza, che si è opposta alla pubblicazione dei diari e del mio libro, fa comprendere che lei vuole difendere il padre. Il boss si è messo accanto persone, non mafiosi affiliati, per non rischiare di essere tradito», dice il giornalista mentre il suo volume, «I diari del boss- Parole, segreti e omissioni di Matteo Messina Denaro», si fa strada nelle librerie. Come si fa a sospendere il giudizio di fronte al male? «Devi sempre capire il personaggio che stai trattando. Non si può nascondere che Matteo Messina Denaro era uno stragista e che è diventato un imprenditore mafioso. Poi cerchi di capire le cose che scrive e come le scrive. Devi decodificare. Nel suo caso, era un personaggio così intelligente che voleva manipolare la realtà». Leggendo i diari di Messina Denaro, ha capito meglio chi fosse davvero il padrino e il padre. C'è del vero nel suo scritto? «C'è molto di vero in quello che ha scritto e questo mi ha permesso di entrare nella testa del padrino. In altri casi, cerca di fare propria la realtà alterandola. Giustifica tutto quello che ha fatto nel passato, di cui non si pente. Capisci, nel rapporto che vorrebbe avere con la figlia, che ha un'idea di educazione familiare patriarcale e mafiosa». Messina Denaro è convinto che le donne non possano resistergli, di tenerle sotto scacco ed è a loro che, però, affida la sua latitanza. «Le donne lo hanno protetto e coperto. Le tratta in malo modo, come persone di cui non ha rispetto, ma loro glielo lasciano fare e rimangono schiave del suo fascino. Messina Denaro si sente un dio: come in una tragedia greca, pensa di essere al di sopra di tutto e di tutti». Possibile che Messina Denaro pensasse di intraprendere un percorso di redenzione attraverso la figlia e che, con il suo essere padre, provasse a giustificare il padrino? «È esattamente così. Non solo la redenzione, ma la redenzione attraverso il falso. Se questi documenti fossero finiti in mano a persone che non sapevano chi fosse realmente l'autore, ne sarebbero rimaste estasiate. Sembra un padre straziato dall'amore per una figlia che non lo vuole incontrare e un perseguitato dalla giustizia. Alla figlia dice: “La mia vita solo io te la posso raccontare”. Ma la racconta a modo suo». Che cosa pensava la figlia Lorenza del padre? «Lorenza lo ha tenuto distante perché non l'ha cresciuta. Criticava l'assenza del padre. All'esterno, però, si vantava di essere sua figlia». Se non fosse subentrata la malattia, che ha bucato la rete dell'organizzazione mafiosa, l'avrebbero trovato lo stesso? «Non così presto». C'è chi sostiene che Messina Denaro abbia scelto di farsi prendere. «No. La vittoria del mafioso è non farsi prendere dallo Stato, morire nel proprio letto e non in carcere. Nei diari parla spesso della morte, ma l'arresto non è un'ipotesi». Messina Denaro parla di «carisma naturale». Quanto conta nella crescita di un boss? «Moltissimo. Lui ha una leadership basata sul carisma, che lo rende mitologico all'interno di Cosa nostra e delle altre mafie. Anche se non era il capo di Cosa nostra ma il capo di Trapani, tutti lo cercavano per un appoggio, un consiglio. Era un affabulatore, con le parole conduceva gli altri dove voleva, manipolava i fatti».
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