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"Migliaia di strutture a rischio". Nuovo tariffario, l'appello a Mattarella
26-05-2025, 17:47
Sanità, scontro sul nuovo tariffario regionale. Le tariffe del nomenclatore sono ferme da oltre 26 anni e nell'udienza del 28 maggio il TAR deciderà se intervenire per correggere l'emergenza. Finora le tariffe hanno subìto un taglio fino al 70%. "Noi siamo in attesa da dicembre - osserva Dario Arcagni, presidente di Anisap Marche - che le promesse di un tariffario regionale migliorativo, fatte dal governatore Acquaroli, per 45 prestazioni abbiano un seguito. Qui è in gioco la sopravvivenza delle nostre strutture e la qualità di un servizio senza il quale la sanità andrebbe allo sbando. Basti pensare che oggi per poter fare le analisi del sangue in regime pubblico occorre aspettare 26 giorni". "Le decisioni del Tar - sottolinea Giovanni Onesti, direttore generale di Aisi, l'Associazione che raggruppa le imprese sanitarie indipendenti - andranno a scapito dei grandi gruppi, che rappresentano il 40% delle strutture accreditate, ma ancor di più del restante 60% gestito da singoli imprenditori. Il rischio è che molte di queste realtà saranno costrette a chiudere o ad erogare prestazioni in regime privatistico. Il problema è enorme e non sono per le decine di migliaia di persone il cui posto di lavoro vacillerebbe ma anche per gli ospedali o i presidi pubblici che verrebbero ingolfati dalle richieste di chi non può curarsi. Con le liste d'attesa che, già lunghe, diventerebbero infinite. Incomprensibile quindi l'idea di ridurre tariffe già ferme da venti anni". "Un fermo - conclude Paola Marchetti di Confepi - che sta mettendo in ginocchio le comunità psichiatriche. Da anni, chiediamo un adeguamento delle rette e un ulteriore contrazione darebbe il colpo finale. La possibilità di chiusure è alta, come quella di contrarre il personale. Considerando che parliamo di strutture che accolgono adolescenti dai 14 ai 18 anni e giovani dai 18 ai 35, il tema è serio. Penso alle famiglie dei pazienti che soffrono di disturbi mentali che da sole non possono gestire i propri figli. Chi glielo direbbe?". Sull'emergenza si espresso anche il cartello della Uap. "E' l'ultimo, estremo tentativo di rovesciare il tavolo - scrive Giulio Terzi - di fare chiarezza, di ottenere giustizia. Il “cartello” UAP, che raccoglie le maggiori associazioni di categoria rappresentative di 27.000 strutture sanitarie e oltre 350.000 dipendenti, lancia un appello al Quirinale, al presidente della Repubblica perché intervenga a fermare quel perverso meccanismo messo in moto dall'entrata in vigore del contestatissimo Nomenclatore Tariffario. Un provvedimento che sta stritolando e snaturando il sistema Sanitario pubblico e privato italiano. Siamo ormai al momento della verità, a ridosso dell'udienza del 28 maggio al TAR, nella quale si deciderà se intervenire per correggere le tariffe, (ferme da oltre 26 anni) che hanno subìto un taglio fino al 70% . L'U.A.P. si rivolge nuovamente al Presidente Mattarella a tutela del diritto alla salute, costituzionalmente previsto dall'art. 32. Peraltro, occorre segnalare che proprio in questi giorni i sindacati si sono riuniti presso la Regione Lazio per chiedere l'adeguamento degli stipendi dei dipendenti del comparto sanitario, senza rendersi conto che non è possibile aumentare gli stipendi se già sono stati previsti tagli alle tariffe. Evidentemente anche i sindacati sono scollati dalla realtà, facendo politica a danno della salute degli italiani. Ed infatti l'U.A.P. ha più volte chiesto ai sindacati – purtroppo senza successo – un allineamento per una battaglia comune contro l'aumento delle tariffe che sta portando alla chiusura di tante strutture private accreditate e convenzionate delle regioni in piano di rientro a favore delle grandi multinazionali e che sta creando seri danni agli ospedali pubblici, costretti a fare interventi inutili per far cassa, chiudere reparti o cedere interi padiglioni a privati per incassare fondi per coprire le spese, come ha fatto recentemente il Policlinico Umberto I. È evidente che tali aumenti tariffari sono a scapito della sanità delle regioni in piano di rientro, mentre in quelle più virtuose si possono progettare programmi di ausilio alla sanità pubblica per l'abbattimento delle liste di attesa, come dichiarato dallo stesso Bertolaso, assessore al Welfare della Regione Lombardia. Ma finora il muro di gomma ha resistito, nessun cedimento da parte del Ministero della Salute, alzate di spalle imbarazzate dal governo e imbarazzo da parte delle forze politiche. E' tutta una questione di soldi e di potere, di lobbies e dell'azione sotto traccia dei grossi gruppi privati che in Italia stanno facendo uno shopping selvaggio. Il settore sanitario, che rappresentava il fiore all'occhiello dell'Italia, sta vivendo un incubo da oltre 2 anni. È inutile far passare il messaggio che sono stati stanziati più fondi se con gli stessi fondi sono stati inseriti nuovi LEA che hanno inevitabilmente ridotto gli stessi. Per tali ragioni, la U.A.P, chiede appunto al Presidente Mattarella di intervenire affinchè vengano ripristinate le vecchie tariffe del 2023, con adeguamento ISTAT, da poter poi aggiornare nei mesi successivi, o vengano applicati i tariffari proposti al Ministero della Salute duranti i tavoli di confronto, che sono adeguati al costo della vita, soprattutto alla luce delle dichiarazioni del Ministero della Salute, secondo cui i fondi sono stati stanziati. E' il momento cruciale della battaglia che il “Cartello” delle imprese sanitarie conduce con determinazione da mesi. UAP si aspetta che all'udienza del 28 maggio il TAR prenda una decisione a tutela della salute dei cittadini italiani, per non perdere la nazionalità delle nostre imprese, soprattutto quelle del Sud Italia considerato che tutte le imprese stanno subendo un aumento dei costi, dei dazi, e sono fagocitate da una burocrazia che impone mille adempimenti che fanno lievitare i costi. C'è il rischio concreto che nel breve periodo ci si trovi nella impossibilità di erogare servizi di qualità, con conseguente incremento delle patologie irreversibili e delle liste di attesa, che porteranno nel giro di 3 anni al crollo della sanità pubblica e privata accreditata. Uno scenario inquietante che il Ministero della Salute sembra voler minimizzare. Eppure, proprio alla luce di tale scenario, oggi si legge su molti quotidiani dell'esistenza di un accordo tra Federfarma ed il SUMAI per svolgere attività sanitaria all'interno delle farmacie. Siamo arrivati al paradosso di consentire l'esercizio di attività sanitarie ad erogatori muniti di una mera autorizzazione comunale alla vendita, privi degli oltre 420 requisiti previsti dal D.Lgs. n. 502/1992 e di procedure, arrivando alla follia di consentirgli la presa in carico di ricette del medico di medicina generale per eseguire prestazioni sui malati cronici. Ci si chiede se chi è preposto al controllo di ciò che avviene sia a conoscenza della differenza tra autorizzazione regionale all'esercizio di attività sanitaria e autorizzazione comunale alla vendita di prodotti e se conosca i 420 requisiti autorizzativi di cui al D.Lgs. n. 502/1992. È comodo fare sanità senza rispettare detti requisiti, perché questo significa risparmiare il 30/40% dell'incasso che, di contro, gli ambulatori, poliambulatori e ospedali pubblici e privati accreditati devono destinare per l'adeguamento dei requisiti strutturali, tecnici e organizzativi, per assumere le responsabilità civili e penali dell'atto medico che compiono, a tutela della salute degli italiani. L'U.A.P. chiede uguaglianza e parità di trattamento per tutti gli operatori sanitari".
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