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Pomeranc: "Qui a New York le società si preparano a scappare da Mamdani"
Oggi 10-11-25, 08:03
L'elezione del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, il primo musulmano nella storia della città a ricoprire tale carica, e con posizione quantomeno controverse su Israele ed ebrei, sta scuotendo l'opinione pubblica e preoccupando gli imprenditori della Grande Mela. Una politica «socialista», così l'ha definita lui, che vuole tassare i super ricchi in nome dell'«equità». Ma come stanno davvero le cose? Lo abbiamo chiesto a un grande imprenditore che vive lì, Jason Pomeranc, 54enne democratico, cofondatore del gruppo Sixty Collective, che possiede e gestisce hotel, bar e ristoranti a New York, oltre che a Los Angeles e a Washington. Anche se è ancora presto per dirlo, quanto pensa che il settore del turismo e chi, come lei, ha forti interessi in questo campo, possa risentire dell'elezione di un sindaco che sta facendo discutere in tutto il mondo? Non teme anche un eccesso di pubblicità negativa? «New York accoglie quasi 65 milioni di visitatori l'anno. Anche un piccolo calo avrebbe un impatto enorme sulla mia attività e sull'economia in generale. La retorica del sindaco eletto, che manca di rispetto alle forze dell'ordine, mostra ostilità verso il mondo degli affari e persegue un'agenda socialista e, molti direbbero, antiamericana, potrebbe colpire gravemente il turismo, portando via miliardi di dollari. Le società di servizi finanziari si stanno già preparando a operare fuori da New York, in Connecticut, Florida e Texas, nel caso la situazione diventasse ingestibile». .Il sindaco ha parlato di voler introdurre politiche socialiste a New York. Politiche come quelle del «tutto gratis» sono davvero realizzabili? È una città che può sostenere un programma elettorale simile? «Queste politiche si sono dimostrate inefficaci e rappresentano un passo verso il fallimento economico. È quasi comico pensare che possano funzionare in un sistema complesso come quello di New York. Il sindaco promette abilmente cose che non può mantenere senza la cooperazione dello Stato. E quando lo Stato non riuscirà a mantenere le promesse, per una serie di motivi, lui li incolperà per i propri fallimenti e perle sue stesse falsità. L'1% dei newyorkesi paga già il 48% delle tasse: regolarli e tassarli ancora di più è irragionevole, e se anche solo una parte di loro dovesse trasferirsi, non ci sarebbero abbastanza entrate per mantenere i servizi attuali». La scelta di Mamdani è stato un voto di protesta? Si è fatto un'idea del perché sia riuscito a vincere? «Ha condotto una campagna brillante, molto ben organizzata, e anche ben finanziata dalla famiglia Soros e da altri gruppi estremisti di sinistra con un'agenda distruttiva. Ma, in sostanza, ha saputo attingere al risentimento di chi fatica a reggere i costi di una delle città più care del mondo, e al senso di colpa di alcuni giovani liberali privilegiati che pensano di non meritare ciò che hanno, fino, naturalmente, a quando non glielo tolgono. È molto facile entusiasmare le persone con false promesse». È stato più un voto contro Trump o a favore di Mamdani? «Credo sia un mix di entrambe le cose. Per la maggior parte, i suoi sostenitori sono fortemente anti-Trump. C'è una componente importante di voto di protesta contro il movimento Maga. Purtroppo, però, una parte di questo movimento affonda le radici anche nell'antisemitismo. La guerra a Gaza ha fatto emergere un antisemitismo latente che è esploso in modo evidente. Lo si è visto prima nelle proteste studentesche, da cui Mamdani ha tratto gran parte della sua notorietà iniziale. Ma, per essere chiari, il carburante di queste proteste proveniva da attori esterni: governi stranieri e organizzazioni di estrema sinistra interne, che le hanno finanziate e alimentate con contenuti spesso falsi sui social media. Mamdani non è il prodotto di una campagna organica per il cambiamento, ma di un gruppo manipolatore, ben finanziato e organizzato di cattivi attori che mirano a destabilizzare New York e, in ultima analisi, gli Stati Uniti».
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