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Referendum, è miraggio quorum: la piazza contro Israele non salva la sinistra
Oggi 09-06-25, 07:38
La prima rilevazione delle 12 ha gelato le aspettative. Quel 7,42% ha segnato l'andamento della giornata: nessun balzo nell'affluenza ai seggi. Un dato che resta molto deludente alle 19: tra il 16 ed il 17%. In serata dopo la chiusura delle urne l'affluenza va poco oltre il 20%. E dire che il campo largo nelle ultime ore, complice la manifestazione per Gaza organizzata proprio la vigilia dell'apertura dei seggi, ci aveva sperato. Il solito vizio della gauche: confondere i sogni con la realtà. O meglio trasformare una conta interna in un'emergenza del Paese. Il primo a partire è stato Maurizio Landini, il segretario della Cgil, che si carica sulle spalle i referendum sul lavoro. Un'opportunità per Elly Schlein che infatti si aggrega subito alla raccolta di firme, e a cose fatte ne informa il suo partito. La segretaria era in cerca della «rottura» definitiva: «Condanniamo la stagione di Matteo Renzi e delle sue sciagurate leggi. Non siamo più quelli di una volta. Ora comando io». Già, perché il perno della consultazione, sono i tre quesiti sul Jobs act, un provvedimento varato dall'ex sindaco di Firenze dieci anni fa. E che il Pd salutò con un tifo da stadio, che coinvolse anche gli amici di Pierluigi Bersani, Andrea Orlando, la corrente di Dario Franceschini. In pratica gran parte del gruppo dirigente che oggi è in prima fila a chiederne l'abrogazione. Un caso di scuola sono l'attuale capogruppo alla Camera Chiara Braga, e la vicepresidente del partito Chiara Gribaudo, convertite sulla strada del Nazareno. Salvo un manipolo di riformisti che ha scelto di rimanere coerente: Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Giorgio Gori, Filippo Sensi, Lia Quartapelle, Marianna Madia, Simona Malpezzi. Per caricare di significati estranei alla consultazione, Elly Schlein, con il supporto del capo dei senatori Francesco Boccia, si è inventata last minute il secondo quorum. Se quello del 50% più uno è irraggiungibile, costruiamone surrettiziamente uno nuovo: «Se votano più di 12 milioni di italiani, il campo largo ha vinto». La fantasia al potere, come recitava uno slogan degli anni 70: prendi la percentuale di elettori che nel 2022 alle politiche ha scelto il centrodestra, e trasferiscila arbitrariamente suo referendum. Uno stratagemma fantasioso che serve a dare un senso ad una partita probabilmente già persa in partenza: «Giorgia stiamo arrivando». Eppure per il Nazareno il test della domenica e del lunedì è importante. Intanto perché per la prima volta esordisce su pista il tre posti dell'alleanza. Ovvero Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, la cassaforte della alleanza. Il cosiddetto modello Genova, con i cespugli dentro, è un diversivo: «Se vengono gratis bene, se hanno pretese li lasciamo fuori». Lo schema utilizzato per i 5 referendum, Elly Schlein non si è fatta certo impensierire dalle scontate titubanze di Italia Viva e di Azione, «così è se vi pare». Un messaggio che vale anche per la minoranza del partito: «Non disturbate il manovratore». La segretaria in sneaker hail classico coltello dalla parte del manico: «Tra poco più di un anno si vota, chi si mette di traverso, sarà fuori dalla lista». Così c'è anche l'ultima precauzione: «Oggi non commentate l'esito prima della linea ufficiale». Si tratta di una comunicazione informale che i parlamentari dem hanno ricevuto: Elly vuole avere il tempo che serve per escogitare un'altra via di fuga. Nel caso in cui l'affluenza restasse abbondantemente sotto il 50%, il Pd deve trovare il modo di non uscirne con le ossa rotte. Dalla raccolta delle firme, all'insistenza in campagna elettorale, un eventuale disfatta referendaria porterebbe l'evidente responsabilità della segretaria. Con lo spirito del tentare il tutto per tutto è nata anche la marcia per Gaza il giorno prima del voto. Un modo per eludere il silenzio elettorale e commissionare lo spot definitivo: tutti insieme sul palco di Piazza San Giovanni per invitare al voto. Un cocktail micidiale, che mischia la crisi umanitaria in Cisgiordania con i conti di un «congresso» che è sfuggito di mano.
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