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Ricolfi e il Pd: “Con una leader come Schlein non possono dire sì alle armi”
Oggi 13-03-25, 10:00
«La strada che sta seguendo l'Europa, un riarmo fatto in questo modo è pericoloso». A dirlo è il politologo Luca Ricolfi dopo che il Parlamento europeo ha approvato il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen. Quali le conseguenze sulla capacità di difesa dell'Europa? E quali sull'evoluzione della crisi? «Sulla capacità di difesa dell'Europa zero conseguenze a breve termine; poche conseguenze a medio termine; conseguenze importanti (aumento sensibile della capacità di difesa) a lungo termine, diciamo fra 5-10 anni. Il riarmo richiede tempo e coordinamento fra gli Stati, due risorse di cui l'Europa è sguarnita. Sulla evoluzione della crisi devo fare una premessa: poiché nessuno è nella testa di Putin, e meno che mai in quella di Trump, sarebbe bene che facessimo tutti un bagno di umiltà e riconoscessimo che nessuno hale informazioni necessarie per fare previsioni. Mi colpiscono molto i Calenda e i Travaglio, convinti di conoscere le intenzioni di Putin, e peraltro muniti di certezze opposte: i "Calendisti" sono certi che l'intenzione sia di attaccare i paesi Baltici, i "Travaglisti" sono convinti che Putin si accontenterà di tenere i territori occupati e di non avere la Nato alle porte in Ucraina. Per quanto mi riguarda posso solo esplicitare i miei molti dubbi, che in realtà sono soprattutto timori». Quale è il più importante? «Il più importante è che il mero annuncio del riarmo possa rendere più difficili i negoziati e (se hanno ragione i Calendisti) convincere la Russia a nuove “operazioni militari speciali” prima che il riarmo abbia effettivamente luogo. Temo, in particolare, che la Russia voglia aprirsi un corridoio verso l'enclave di Kaliningrad, e che non si lasci sfuggire l'occasione di passare all'azione. E poi c'è un altro dubbio...». Ovvero? «Nei panni di von der Leyen avrei provato a percorrere una strada del tutto diversa. Non avrei lanciato la parola d'ordine del riarmo prima di aver chiarito con gli Stati Uniti quale sarà il destino della Nato, e quale potrà essere il loro impegno futuro nell'alleanza». Come si ridisegna lo scacchiere Europeo e quali ora le alleanze forti per l'Italia? «Tendo a pensare che l'Italia, specie se Meloni rivincerà le elezioni nel 2027, cercherà di salvare il Patto Atlantico (magari in una versione aggiornata), e di assumere un ruolo simile a quello che da sempre, in Europa, detiene il Regno Unito, ovvero il ruolo di referente privilegiato degli Stati Uniti (la celebre "special relationship")». L'Italia (o l'opinione pubblica?) comunque è spaccata. «Sì, ma è normale che sia così. L'opinione pubblica già era spaccata sulla guerra, non può che esserlo sul riarmo. Semmai tendo a pensare che le fratture diverranno più genuine, o meglio più “psicologiche”, ossia meno legate alle appartenenze partitiche». A maggior ragione veniamo al Pd che sembra avere mille anime diverse. Cosa sta accadendo? «Sta accadendo l'inevitabile: il Pd non può essere contro l'establishment europeo, ma non può nemmeno, con una segretaria come Schlein, essere a favore del riarmo, specie se rischia di essere effettivo. Di qui l'escamotage di approvare la cosiddetta "difesa comune" (tanto non si farà...), e contestare il riarmo, cha spaventa i pacifisti e crea un fossato con i Cinque Stelle. Il risultato è il voto di ieri al Parlamento Europeo, metà con von der Leyen e metà astenuti». I 5 Stelle invece le sembrano più coerenti? «Sì, se non fosse che il governo Conte aumentò la spesa militare e i Cinque Stelle votarono le risoluzioni belliciste ai tempi di Draghi». Però le potrebbero dire che anche la destra è divisa. Quali le differenze con il Pd? «I contrasti nella destra sono fra partiti, non all'interno del medesimo partito. E tuttavia, da un altro punto di vista, sono rilevanti anche quelli interni alla destra, specie se dovessero portare a una spaccatura nel parlamento nazionale. Non mi stupirei se al momento di aumentare davvero le spese la Lega si astenesse, e il governo dovesse ricorrere ai voti dei centristi (Azione e Italia Viva) e di qualche esponente dell'ala riformista del Pd».
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