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Rino Gaetano eterno presente: anche la Treccani celebra il cantautore
Oggi 22-08-25, 20:25
Dissacrante, irriverente, scanzonato, disincantato, surreale, ironico, provocatorio. Rino Gaetano era tutto questo. E molto di più. E non ha mai avuto paura di mostrarlo. La sua apparente leggerezza era solo una patina superficiale che nasconde un'analisi acutissima della società italiana a cavallo tra i tormentati anni '70 e l'alba degli anni '80. Politica, costume e ribaltamento dei luoghi comuni si intrecciano nel suo racconto controcorrente di un Paese alla continua ricerca di se stesso, che trovava la sua identità nel paradosso linguistico e nella contraddizione. Nato in Calabria ma trapiantato nei sobborghi capitolini all'età di 10 anni, Gaetano era immerso nella romanità più vera che emerge prepotente nelle sue canzoni. Cronache surreali di una città imprevista e imprevedibile. Fino al tragico epilogo dello schianto frontale su via Nomentana. In quella maledetta notte del 2 giugno 1981. Con la morte profetizzata nella vana ricerca di un posto letto in ospedale. Oggi anche l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani celebra Rino Gaetano, venerato da un pubblico che, a 75 anni dalla nascita, continua ad amarlo per quel nonsense solo in apparenza incomprensibile. Gaetano ha saputo mescolare attività teatrale e sperimentazione musicale fino a diventare «un'autentica star della musica leggera italiana», come testimonia l'Enciclopedia della Musica Contemporanea, diretta dal compianto giornalista e critico musicale Ernesto Assante e dal critico musicale Sandro Cappelletto, in uscita a settembre. Erede di Fred Buscaglione, primo «cantautore proletario nel senso in cui lo intendeva Pier Paolo Pasolini», sottolinea la Treccani, si impose nel 1975 con il 45 giri «Ma il cielo è sempre più blu», seguito nel 1976 da «Mio fratello è figlio unico» e nel 1977 dall'album «Aida» dove si ritrova il segreto di quel nonsense che l'ha reso celebre e grazie a surreali note di copertina in cui si faceva beffe del linguaggio delle istituzioni, della religione, della politica, del giornalismo e della burocrazia. Divenuto sempre più popolare, partecipò nel 1978 al Festival di Sanremo dove propose la più orecchiabile e disimpegnata «Gianna» (che si classificò terza vendendo poi 600 mila copie) al posto di «Nuntereggae più», a causa del lungo ed esplicito elenco di nomi di politici e vip dell'attualità che il cantautore dichiarava di «non sopportare più». Con un gusto innato per il paradosso «un po' alla Carmelo Bene», la Treccani ripercorre così le tappe di una carriera troppo breve. Venne talvolta derubricato a semplice nota dal sapore macchiettistico: Maurizio Costanzo lo presentò a Susanna Agnelli come «un cantautore che fa canzoncine ironiche, così, scherzose, scanzonate...che si dedicherà prossimamente a mettere in musica forse le pagine gialle perché fa degli elenchi di nomi». Ma, come accaduto per Bob Dylan, col tempo iniziarono a prenderlo sul serio. Tra i primi a valorizzarlo furono lo scrittore e critico letterario Enzo Siciliano, poi divenuto presidente della Rai, che lo volle intervistare nel 1978 nella trasmissione radiofonica «Quadernetto romano». Gino Paoli per il quale era «l'erede di un certo tipo di nonsense, di marinetterie, del surrealismo più antico». E Antonello Venditti a lui molto legato. L'album «Nuntereggae più», pubblicato il 1° settembre 1978, fu la definitiva consacrazione di uno stile che arrivava a un pubblico di massa perché affrontava criticità politico-sociali universali, con uno sguardo disincantato, dissacrante e leggero ma non per questo meno corrosivo. Il culto della figura di Gaetano, dopo un calo durato fino agli anni Duemila, continua ora a crescere nel tempo, facendolo apprezzare come autore di grandezza assoluta: concerti tributo che si svolgono ogni anno proprio nel quartiere Montesacro dove l'artista viveva, mostre, materiali inediti e nuove generazioni di musicisti che a lui si ispirano e contribuiscono a restituire visibilità a un cantautore dalla voce libera, capace di raccontare con sarcasmo e leggerezza i paradossi di un'epoca e la complessità del nostro Paese, smascherando le contraddizioni del potere senza mai cadere nella facile retorica. Dalle borgate romane alla gavetta nel Folkstudio, dal palco di Sanremo al concerto sulla spiaggia di Capocotta poco prima di morire. Quella notte affermava: «C'è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio. Io non li temo. Non ci riusciranno. Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera. Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale, e si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta». Ancora oggi le sue parole risuonano attuali e profetiche, mentre le canzoni continuano a parlare di noi nelle radio e nelle piazze. Disegnando i contorni delle contraddizioni che ci tengono vivi.
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