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Scenario che riguarda anche noi: altro che sfilate, diamoci una mossa
Ieri 14-06-25, 11:02
Concetto semplice, ma che continua a sfuggire alle anime belle pacifiste, tipo quelle riunite a piazza San Giovanni. Nel Medio Oriente (ma potremmo dire nel mondo intero), la forza è la moneta che dà credito alla politica. In una regione dove conflitti, ambizioni nucleari e guerre per procura dominano, la diplomazia funziona solo se sostenuta dalla capacità di agire con decisione. La storia lo dimostra: dagli Accordi di Abramo, resi possibili dalla potenza militare oltre che dalla mediazione americana, alla persistente instabilità in Libia, dove l'assenza di una forza credibile sbriciola la presenza occidentale. L'operazione «Raising Lion», lanciata da Israele contro l'Iran, incarna questa logica. Centinaia di caccia F-35, F-16 e F-15, affiancati da droni avanzati e missili balistici a lungo raggio, colpiscono oltre 20 obiettivi strategici: il reattore nucleare di Natanz è distrutto, i centri di comando delle Guardie rivoluzionarie sono devastati. L'attacco elimina figure chiave come Hossein Salami, capo delle Guardie, e Mohammad Bagheri, capo di Stato maggiore. Netanyahu definisce l'azione indispensabile per fermare un programma nucleare «al punto di non ritorno». Ma l'operazione non è finita: fonti israeliane parlano di una «fase uno» completata, con raid successivi già pianificati per neutralizzare altre infrastrutture. Teheran risponde con 100 droni, intercettati da Israele, e promette ritorsioni, ma l'impatto iniziale è chiaro: Israele dimostra una superiorità militare che ridefinisce gli equilibri regionali. Le democrazie, Italia compresa, devono trarre una lezione da questo scenario. Nel secolo dei droni, della guerra ibrida e delle minacce asimmetriche, la credibilità si misura sulla capacità di usare la forza quando necessario. La Libia post-Gheddafi è un caso emblematico. La caduta del Raìs nel 2011, sostenuta dal Nato, lascia il Paese in un caos che persiste. Senza una presenza militare capace di imporre ordine, la nazione si frantuma in fazioni armate, con potenze come Turchia, Russia ed Emirati che ne sfruttano le divisioni. L'assassinio dell'ambasciatore Usa Chris Stevens a Bengasi, l'11 settembre 2012, sottolinea il fallimento di un approccio puramente dialogante. Stevens, esperto del mondo arabo, muore in un attacco pianificato da milizie di Ansar al-Sharia, forse per vendicare la morte del numero due di Al Qaeda. Gli Usa, impreparati, inviano 200 marines e droni solo dopo la tragedia, dimostrando che la diplomazia, senza una forza credibile, è vulnerabile. Questo contesto, deve essere chiaro a tutti, ci riguarda eccome. Dobbiamo prepararci, dobbiamo esserci, dobbiamo trovare nuove parole, nuove idee, un rinnovato coraggio di guardare la realtà senza gli occhi dell'illusione. Ecco perché dobbiamo salutare con favore discorsi come quello dell'ammiraglio Enrico Credendino, capo di Stato maggiore della Marina Militare, quando rivela al Corriere della Sera che il Paese progetta una nuova portaerei a propulsione nucleare, con orizzonte 2040. È una svolta strategica, che proietta la Marina italiana verso un ruolo di primo piano nel Mediterraneo e oltre (il Programma Minerva riguarda anche sommergibili con a bordo reattori di ultima generazione: occorre capire una volta per tutte che i nuovi sistemi d'arma richiedono enormi quantità di energia). La presenza russa al largo della Libia, con tentativi di stabilire una base a Derna, è un monito, il Mediterraneo non è più un «lago» sicuro: l'Italia deve affrontare minacce complesse, dalla pirateria alle guerre ibride, con strumenti adeguati. Il Medio Oriente, con l'azione israeliana, e la Libia, con il suo caos, insegnano che la forza non è un'opzione, ma una necessità per chi vuole contare. Gli Stati Uniti sostengono Israele diplomaticamente, mentre l'Europa troppo spesso chiede moderazione senza offrire soluzioni. Diamoci una mossa, altro che manifestazioni da quaquaraquà.
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