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                                                Schlein lancia la crociata per il "no" al referendum, ma un pezzo di Pd non ci sta
                                
                                Oggi 31-10-25, 08:04                            
                                                            La "condottiera" del Nazareno va incontro alla battaglia a muso duro, giacca blu e camicia azzurra, lo stesso tono di sempre. Dopo il via libera di Palazzo Madama, si trattiene in Senato e incontra i giornalisti: «Non c'è bisogno che la Meloni si dimetta dopo il referendum, la batteremo alle prossime elezioni». Repetita iuvant: «Le parole pronunciate ad Amsterdam sull'allarme democrazia le ho appena ripetute e ne sono convinta». Poi la speranza: «La linea del Pd è questa e ci impegnerà anche nel percorso del referendum». E dire che anche sulla separazione delle carriere dei giudici, Elly Schlein sa che il Nazareno affronterà il referendum diviso, con una parte del partito da sempre schierata sui temi della riforma della giustizia. C'è anche il precedente, la consultazione sul jobs act: la segretaria sposò la linea di Maurizio Landini, mezzo Pd rimase a casa, infischiandosene della battaglia intrapresa spavaldamente dalla "condottiera". Lo stesso schema riappare oggi in vista del referendum confermativo. Correva l'anno 2019 ed un aspirante alla segreteria dem, Maurizio Martina, così scriveva nella sua mozione: «Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale». Basta scorrere la pagina e leggere i nomi dei sottoscrittori di allora: Debora Serracchiani, Dario Parrini, Matteo Orfini, Alessandro Alfieri, Graziano Delrio, Simona Malpezzi, Vincenzo De Luca. In pratica tutti attuali parlamentari dem più il governatore della Regione Campania. Alcuni di loro, nel frattempo, hanno cambiato idea, come l'ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Per Debora Serracchiani oggi la separazione delle carriere: «Significa piegare la giustizia al potere politico». In sei anni il giro del mondo perla responsabile giustizia dem: la riforma da ineludibile si trasforma in un attacco alla Costituzione. Irremovibile invece Goffredo Bettini, che qualche mese fa uscì allo scoperto: «Ritengo che la separazione delle carriere nella magistratura possa rappresentare un passo importante, persino doveroso, nella direzione di una maggiore terzietà del giudice». Il padre nobile del Pd terminò la sua lettera con un'esortazione ai suoi: «La separazione non è una bandiera ideologica». Una premura che la segretaria evidentemente non ha ascoltato. È l'ex viceministro Enrico Morando a fotografare la faglia che divide il Nazareno: «Ciò che mi pare inaccettabile è che la lunga esperienza della sinistra di governo nel corso di decenni venga completamente obliterata». In pratica quello che succede con Elly Schlein, la segretaria che ha azzerato il passato, vale solo quello che dico io. Morale: l'associazione Libertà Eguale, presieduta da Morando e che oggi si riunisce per un seminario a Livorno, sosterrà il Sì al referendum confermativo. Tra gli aderenti dello storico network libdem altri nomi di primo piano della galassia dem: il vicepresidente ed ex parlamentare Stefano Ceccanti, la deputata milanese Lia Quartapelle, Claudia Mancina, Giorgio Tonini, Irene Tinagli, Umberto Ranieri. C'è un altro ex, ora presidente del Partito Liberaldemocratico, che condivide la battaglia: Andrea Marcucci. Inequivocabile il suo commento dopo il via libera dell'Aula del Senato: «La separazione delle carriere dei giudici è il coronamento di una battaglia di civiltà giuridica che unisce i liberali di tutti gli schieramenti». Il segretario del PLD, il deputato Luigi Marattin, a Montecitorio ha votato il disegno di legge del Guardasigilli Nordio. Più defilato Matteo Renzi: la pattuglia di senatori di Italia Viva ieri in Senato si è astenuta. Per l'ex presidente del Consiglio: «Non è vero che la riforma è una svolta come sostiene il centrodestra né un golpe, come argomenta la sinistra». Per Elly Schlein lo scontro referendario rischia di essere la madre di tutte le battaglie; se perdesse, metterebbe a repentaglio il suo tentativo di leadership alle successive primarie di coalizione. La inseguono brutti presagi: il Nazareno è già in ordine sparso.
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