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Trump annuncia nuovi dazi su farmaci, mobili e camion dal primo ottobre
Oggi 26-09-25, 10:04
È un messaggio senza giri di parole, fedele allo stile diretto che ha sempre contraddistinto Donald Trump: “A partire dal primo ottobre 2025, imporremo dazi del 100% su qualsiasi prodotto farmaceutico di marca o brevettato, a meno che un'azienda non stia costruendo il proprio stabilimento di produzione farmaceutica in America”. L'annuncio, pubblicato su “Truth Social”, la piattaforma cara al presidente, ha già riacceso il dibattito internazionale sulla sovranità economica e sul futuro dell'industria farmaceutica. Dietro le parole di Trump non c'è solo una manovra economica, ma una visione politica chiara: rafforzare la sicurezza nazionale riportando la produzione strategica – in questo caso farmaci e dispositivi sanitari – entro i confini degli Stati Uniti. Un obiettivo che affonda le radici nel principio del "Buy American, Hire American", da sempre cavallo di battaglia dell'ex presidente. Trump ha indicato una via semplice: chi vuole continuare a vendere farmaci sul mercato americano senza dazi investa negli Stati Uniti. Le aziende che hanno già avviato la costruzione di stabilimenti sul suolo nazionale saranno esentate. Le altre dovranno affrontare tasse pesanti. Una scelta che, secondo il presidente, punta non solo a proteggere l'economia interna, ma anche a porre fine alla dipendenza degli Usa da Paesi come Cina e India per l'approvvigionamento di prodotti farmaceutici essenziali. In un contesto globale sempre più instabile, la pandemia ha insegnato quanto sia rischioso affidare la produzione di beni sanitari strategici a nazioni straniere. Trump – che già nel suo primo mandato aveva denunciato questa vulnerabilità – torna ora all'attacco con un piano deciso, che mira a ricostruire la filiera farmaceutica nazionale, creare posti di lavoro e ridurre l'influenza dei colossi internazionali del settore. Com'era prevedibile, le reazioni da parte dell'industria farmaceutica internazionale non si sono fatte attendere. Aziende e associazioni di categoria parlano di rischi per la stabilità dei prezzi e per le catene di approvvigionamento. Ma per l'amministrazione Trump questi sono i tipici allarmi strumentali di chi ha sempre goduto di un sistema squilibrato, dove a pagare il conto sono stati i lavoratori e i consumatori americani. Le aziende che oggi si lamentano – è il messaggio implicito del presidente – hanno avuto anni per diversificare e investire sul suolo americano. Se non lo hanno fatto è perché hanno preferito la manodopera a basso costo all'estero. Ora, però, i tempi sono cambiati, e l'America vuole tornare padrona del proprio destino industriale. A tremare sono soprattutto i grandi produttori indiani – come Sun Pharma, Cipla o Dr. Reddy's – che esportano in massa verso gli Stati Uniti senza avere basi produttive in loco. Anche in Europa c'è inquietudine: l'annuncio potrebbe spingere molte aziende a spostare capitali e infrastrutture negli Usa, attratte da un ambiente economico sempre più favorevole a chi investe e produce sul territorio. Un dirigente farmaceutico europeo ha definito la misura “un incentivo mascherato da minaccia”. Ma per Trump non è né una minaccia né un ricatto, bensì una scelta di buon senso: se si vuole accedere al più grande mercato sanitario del mondo, bisogna contribuire alla sua solidità produttiva. Quella dei dazi non è una novità nella strategia trumpiana. Già durante il primo mandato, l'ex presidente aveva minacciato tariffe del 200%–250% sui farmaci importati, ottenendo in molti casi impegni concreti da parte delle multinazionali. Ora la linea si fa più netta, quasi ultimativa. E non riguarda solo i farmaci: nel nuovo pacchetto di misure sono previsti aumenti del +50% per armadi da cucina e mobili da bagno, +30% per divani e mobili imbottiti, +25% per camion pesanti. La misura, in ogni caso, potrebbe incontrare ostacoli legali. Alcuni tribunali federali in passato hanno contestato la possibilità di imporre dazi senza l'approvazione del Congresso. È il caso del procedimento V.O.S. Selections v. Trump. Ma rispetto ad allora il contesto è profondamente cambiato e oggi una larga fetta dell'opinione pubblica chiede a gran voce maggiore protezione per i settori strategici nazionali. Nel frattempo, le aziende dovranno decidere da che parte stare: investire in America, creando occupazione e valore negli Stati Uniti, oppure continuare a puntare su produzioni offshore, pagando però il prezzo di un accesso sempre più difficile al mercato americano. Con questa mossa, Trump ha riportato al centro del dibattito tre parole chiave: autonomia, sicurezza e sovranità. Tre concetti che, nel mondo post-pandemico e multipolare di oggi, suonano più attuali che mai. Per i suoi sostenitori, si tratta di un atto di responsabilità verso il Paese. Per i critici, di una mossa protezionista. In ogni caso, è il segnale che gli Stati Uniti non intendono più giocare con regole scritte da altri.
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