s
Zernar rompe il silenzio: “Mai alterato il lamierino. Mi dissero di tacere”
Oggi 29-10-25, 11:40
«Provi pure, non ce la farà». Ezio Zernar accoglie così il cronista del Gazzettino, mettendogli in mano un lamierino e una forbice: tagliarne 0,2 millimetri è impossibile, e da quel gesto parte il racconto di una vicenda che lo ha travolto. Ex capo del laboratorio indagini criminalistiche della polizia, Zernar è stato condannato in via definitiva a due anni per falso ideologico e frode processuale nel caso Unabomber. Oggi, in pensione, decide di parlare. «Mi fu detto esplicitamente all'epoca che dovevo tacere: l'ordine arrivava direttamente dal capo della polizia», spiega. Il motivo? «Avevo dichiarato che c'erano gelosie e invidie, e che c'era un interesse a chiudere il mio laboratorio». Zernar ricorda di non aver mai fatto parte del pool investigativo: «Lavoravo nel laboratorio come tecnico. Mi occupavo solo della parte tecnica, mai di quella investigativa». Fu lui a suggerire l'analisi dei “toolmarks”, i segni lasciati da due oggetti a contatto, una metodologia allora poco usata. «Il mio compito era verificare se la porzione di filo tagliato presentasse compatibilità con i fili degli ordigni di Unabomber». Il punto di svolta arriva con il famoso lamierino: «Avevo una porzione di lavoro enorme, undici millimetri per trentotto. Trovai un match positivo. Scrissi che quella forbice aveva tagliato quella porzione di lamierino». E aggiunge: «Io non ho mai detto che fosse stato Zornitta a tagliare il lamierino. Come in balistica, non puoi sapere chi ha sparato, solo se il proiettile è uscito da quella pistola». Poi, il crollo. «La difesa di Zornitta sostenne che il reperto fosse stato alterato. Non mi preoccupai, ero sicuro del mio lavoro. Ma la procura di Venezia, convinta dai Ris, ritenne che avessi manomesso il reperto e mi indagò. Non si poteva più tornare indietro». Secondo Zernar, la perizia del professor Plebe di Trieste avrebbe dovuto scagionarlo: «Disse che il lamierino non era stato tagliato e che era materialmente impossibile recidere 0,2 millimetri con quella forbice. E aggiunse che i segni erano già presenti all'origine». Ma la procura dispose una nuova perizia, ignorando quella prima. «Nessuno dei tre esperti nominati era qualificato. Uno chiese su un blog giapponese come si fanno i confronti tra immagini digitali. Un chirurgo andrebbe mai su internet a cercare come si opera un'appendicite?» Sul presunto “ammettere la manipolazione”, Zernar replica: «Mi mostrarono la foto e dissi: “Se me lo dite voi, ne prendo atto”. Ero basito, non ammisi nulla». Per i giudici, l'ex tecnico cercava notorietà. «Non avevo bisogno di fama. Era un caso minore. Ho lavorato su cento omicidi di mafia, sul caso Marta Russo, sulla Uno Bianca, sulla Mala del Brenta». Parole dure anche per l'ex procuratore capo di Venezia, Vittorio Borraccetti, che lo definì “traditore e mela marcia”: «Un'affermazione così equivale a una sentenza». Zernar è convinto che dietro la sua caduta ci sia una guerra interna tra corpi dello Stato. «Era scontato che la decisione di indagarmi avrebbe fatto saltare tutto». E aggiunge: «Sono stato condannato per le mie stesse foto. Ma se avessi voluto alterare il lamierino, l'avrei fotografato?» Dopo la condanna, ha ricominciato da zero: «Sono tornato alla polizia stradale, mi sono specializzato, ho preso tutte le patenti, mi sono ricostruito una carriera». Le ferite però restano. «All'inizio ti crolla il mondo addosso. In famiglia è stato durissimo».
CONTINUA A LEGGERE
5
0
0
