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Annalisa Terranova: macché omofoba, fin dai tempi di Almirante la destra è sempre stata laica e aperta
25-10-2024, 12:29
C'è nella storia della destra che si vorrebbe omofoba un episodio poco noto ma significativo che coinvolge un padre nobile, Giorgio Almirante, icona indiscussa del mondo che guarda a FdI e a Giorgia Meloni. E l'episodio riguarda Armando Plebe, il filosofo scomparso nel 2017, la cui adesione al Msi fece scalpore e che negli ultimi anni della sua vita fu anche editorialista per Libero. Difensore per un tratto dell'ortodossia sovietica, nel 1967 Plebe pubblicò Che cosa ha veramente detto Marx (Ubaldini), che fu uno dei testi più diffusi durante la contestazione studentesca del 1968. Ma Plebe si dissociò dal '68 e abbracciò una militanza con i socialdemocratici di Giuseppe Saragat, che però fu breve. All'inizio degli anni '70, quando nacque la destra nazionale, Plebe ebbe una clamorosa rottura con il pensiero del filosofo di Treviri e divenne fra i sostenitori dell'anticomunismo politico-culturale schierandosi con il leader missino Almirante che lo volle alla guida del Fuan e in particolare responsabile del settore cultura del partito. Oltre a farlo due volte senatore. MEMORIE Ebbene, al contrario dei malumori accesi in settori della base di destra dalla scelta di Francesco Spano quale capo di gabinetto del ministro Giuli, all'epoca nessuno fiatò, o almeno non lo fece apertamente. Nessuna raccolta di firme, nessuna chiacchiera con la stampa. Non ci furono contestazioni. Ma è ancora più significativo quanto racconta lo stesso Plebe nel saggio autobiografico Memorie di destra e memorie di sinistra, a proposito del suo essere bisessuale. Quando era a capo del Fuan ebbe infatti un'avventura di una sera con un giovane incontrato alla stazione Termini. Era il 1977. Fu fotografato e tentarono di ricattarlo. Del che Plebe avvisò Almirante che, quando si rese conto che il filosofo non era stato con una prostituta ma aveva ceduto alle grazie di un prestante giovanotto, reagì con stupore: «Ci hanno detto di tutto, che siamo assassini, ma questo non ce l'hanno mai detto». Almirante pretese le dimissioni da capo del Fuan: non era certo dell'avviso di far guidare i giovani da un personaggio ritenuto ricattabile, ma risparmiò a Plebe la gogna e anzi lo aiutò a districarsi nell'affare delle foto rubate. Nel suo libro di memorie, Plebe ricorda poi il congresso internazionale della cultura di destra, intitolato “Intellettuali e libertà”, da lui organizzato a Torino nel gennaio del 1973, al quale aderirono diversi esponenti del pensiero non progressista fra cui Eugène Jonesco, Fausto Gianfranceschi, Giuseppe Berto, Virgilio Titone, Vintila Horia, Diego Fabbri, Francesco Grisi Thomas Molnar, Gabriel Marcel, Adolfo Munoz Alonso, Marino Bon Valsassina. Solo anni dopo quella scelta di Almirante fu contestata, in primis da Giuseppe Niccolai ma non certo per le inclinazioni sessuali di Plebe bensì per il fatto che si riteneva ingiusto che il pensatore ex-marxista si vantasse di avere portato la cultura a destra. «Il Msi», scrisse all'epoca Niccolai, ed eravamo nel 1989 «non era quella terra di selvaggi descritta da Armando Plebe, inviato a civilizzarla, e con carta bianca...». Insomma la polemica era più con Giorgio Almirante che con Plebe. Cosa ci dice questo lontano episodio della storia della destra italiana? Che mai e in nessun modo si ritenne di far prevalere il privato sul politico e che la destra di Almirante era più laica e “aperta” di chi nel 2024 pretende di sindacare gli orientamenti sessuali dei collaboratori dei ministri di un governo di destra. NESSUN BIGOTTISMO Certo, è solo un episodio, ma nel marasma delle interpretazioni che in queste ore imperversano sulle lacerazioni interne al mondo di FdI, può essere utile a orientare la bussola. Tra l'altro è anche interessante ricordare che Niccolai era contrario a fare della destra la ruota di scorta della Dc e in questo era in linea con il modernismo di Pino Romualdi (fondatore del partito della Fiamma) le cui posizioni sulla necessità di una destra laica erano ben salde nel Msi di allora, più ghibellino che guelfo. «Non ci piace», scriveva Romualdi «fare da appoggio utilissimo ma sgradito del bigottismo nazionale e ancora meno dare una mano alla curia romana...». Tutto dimenticato? Tutto seppellito nell'oblio? O si tratta di memorie da recuperare?
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