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Capezzone: i pieni poteri all'Ariston per 5 giorni
07-02-2024, 08:06
Ore 18.14 di ieri pomeriggio. Maurizio Landini, muto sulla vicenda Stellantis, ritrova miracolosamente la parola per lanciare un metaforico assalto al palco di Sanremo, e per chiedere direttamente ad Amadeus di dare spazio nientemeno che al «camper dei diritti della Cgil». Di più: sempre secondo il sindacalista, presumiamo nelle pause tra la canzone dei Negramaro e quella di Loredana Ber tè, bisognerebbe pure trovare il modo di «bloccare l'autonomia differenziata». Capite bene, amici lettori, che c'è chi punta a trasformare il Festival della canzone in una specie di sfogatoio nazionale. La realtà è che, come un piccolo novello Euclide transitato dal terzo secolo avanti Cristo al ventunesimo dopo Cristo, e soprattutto dirottato dalla geometria solida alla società liquida e multimediale, anche Amadeus può considerarsi – a suo modo – titolare di due “teoremi”. Primo teorema di Amadeus: “C'è solo Sanremo”, nel senso che per una settimana l'Italia tutta, inclusa quella politica, avrà come agenda solo ciò che passerà sul palco del teatro Ariston. Secondo teorema di Amadeus: “Altro che tele -Meloni”, visto che, prim'ancora dell'ingresso del primo cantante in gara, abbiamo già assistito ieri in conferenza stampa a un'esecuzione corale di “Bella Ciao”, tanto per timbrare subito – con furbizia da gran paraguru – il cartellino dell'antifascismo. Ma procediamo con ordine e occupiamoci del primo teorema. “C'è solo Sanremo”, abbiamo sintetizzato. Parlano chiaro i dati d'ascolto, che verranno resi noti stamattina alle 10. Ma, per farci un'idea, basterà ricordare quelli delle ultime due edizioni, da cui realisticamente la puntata di ieri sera non si sarà distaccata. Prima serata 2022: 10.911.000 spettatori (54,7% di share); prima serata 2023: 10.757.000 spettatori (62,4% di share). Avete capito bene: tra i 10 e gli 11 milioni di spettatori, e la metà o addirittura quasi i due terzi dei televisori accesi sintonizzati sul Festival. Giusto per mettere bene a fuoco l'impatto di questa kermesse, una ordinaria trasmissione politica, un talk-show di un certo successo, uno di quei programmi dove – per garantirsi una comparsata – un politico anche di un certo livello farebbe carte false, raccoglie in media appena un milioncino di telespettatori. Non solo: quel milione di persone sono sempre gli stessi italiani, di opinione politica già consolidata, che si limitano – sera per sera – a fare il tifo a favore o contro l'uno o l'altro partecipante al dibattito. Ma è praticamente impossibile, davanti a una platea così piccola e già così schierata, che si spostino consensi. Ecco, per Sanremo vale esattamente il contrario: non solo hai – tutta insieme – una platea dieci o undici volte superiore, quindi un immenso Colosseo radunato per cinque lunghissime sere, ma si tratta di un pubblico meno politicizzato, e quindi più facilmente emozionabile attraverso un messaggio abilmente costruito. Per queste ragioni, Amadeus, Fiorello, i loro autori, i loro ospiti e superospiti, i co-conduttori, i dirigenti Rai, devono sapere che hanno sulle loro spalle una responsabilità immensa. Tante volte polemizziamo – qui a Libero – con i colleghi del Fatto quotidiano, ma ieri, sul giornale diretto da Marco Travaglio, c'era una vignetta di Natangelo che valeva più di cinque editoriali, spiritosa e acuta: vi si vede una Meloni che dà ad Amadeus la proverbiale campanella, quella che si scambiano l'ex primo ministro e il suo successore all'atto del passaggio di consegne, con l'eloquente scritta: «Ecco il momento in cui la premier in carica, Giorgia Meloni, passa le consegne ad Amadeus che governerà l'Italia durante la settimana del Festival». Va detto che non si tratta solo di una vignetta azzeccata, ma di una descrizione fotografica di ciò che sta accadendo. Dunque, che si tratti di trattori o di fascismo, di diritti o di libertà, di immigrazione odi qualsiasi altro tema, deve essere chiaro che ogni singola parola pronunciata su quel palco pesa e peserà come un macigno. Non ci si venga a dire – da finti ingenui – che bisogna considerare le cose con leggerezza. Certo, ci piacciono le canzoni e scherzare ci piace ancora di più. Ma non ci si prenda per i fondelli, negando la piena e profondissima politicità (non foss'altro che per i numeri sterminati dei telespettatori sintonizzati su Raiuno) di ogni gag, di ogni siparietto, di ogni inquadratura. Siamo anche sufficientemente vecchi del mestiere per sapere che esistono veri e propri “addetti alla costruzione della polemica”: i quali da mesi, con un picco nelle ultime settimane, hanno preparato-corretto-limato testi o almeno canovacci, immaginando bene cosa possa strappare l'applauso, cosa possa suscitare reazioni, cosa possa innescare tormentoni, cosa possa incendiare il clima anche politico. Vogliamo sperare che tutto ciò sia stato pensato e sarà gestito in modo fair, visto che per troppi anni era difficile distinguere i momenti di cosiddetto “impegno” del Festival da quelli di una Festa dell'Unità. E qui si arriva al secondo teorema di Amadeus: “Altro che tele-Meloni”! Il furbissimo comunistone Enrico Lucci, ieri in conferenza stampa, ha fatto il colpaccio, dal suo punto di vista, chiedendo e ottenendo che Amadeus e Marco Mengoni intonassero “Bella Ciao”, con tanto di dedica a Giorgia Meloni. E i due sventurati hanno risposto subito, come si è visto. Ora, un volpone come Amadeus ha avuto a disposizione solo una frazione di secondo per riflettere sulla provocazione di Lucci. Poteva dire di no, e quindi sottrarsi alla cantatina antifascista: ma sapeva che in quel caso si sarebbe beccato una mezza giornata di polemica in quanto “servo della Meloni”, “mancato antifascista”, e via demonizzando. Oppure poteva dire di sì, come ha fatto, dando però la sensazione alla mezza Italia non comunista che anche quest'anno l'aria rischia di essere la solita: più Festa dell'Unità che Festival della canzone. Nel dubbio, dovendo scegliere in un tempo infinitesimo – in un battito di ciglia – quale tipo di polemica fosse più gestibile e meno dannosa per lui, il callido Ama non ha avuto esitazione e ha puntato sulla seconda opzione. Scendendo precipitosamente dal trattore e annodandosi al collo un immaginario fazzolettone rosso resistenziale: efficace antidoto e talismano – per giunta preventivo – contro ogni eventuale scomunica progressista. Amadeus, che è bravissimo, si è dunque confermato anche astutissimo. E tuttavia – sul lato destro – qualche domanda dovranno pur farsela: dopo un anno di governo, dopo fiumi di retorica sulla “nuova Rai” e sulla “lotta alla mitica egemonia di sinistra”, che succede a Sanremo al primo minuto di gioco? Si fa – veloce veloce – una cantatina antifascista: tanto per mostrare a tutti di avere i documenti a posto. Cominciamo bene, aspettando il camper di Landini...
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