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Capezzone: l'opposizione alla deriva violenta
12-11-2024, 08:32
La sinistra italiana non ha davvero bisogno dei nostri consigli: sa benissimo sbagliare da sola. E tuttavia, animati da quello che è proprio il caso di chiamare spirito repubblicano, vorremmo lanciare un segnale d'allarme alle teste fredde e lucide - se ancora ce n'è qualcuna- del progressismo italiano, sia nell'arena politica che in quella mediatica e culturale cosiddetta “d'area”. Da queste parti, siamo seriamente preoccupati per la deriva extraparlamentare che sta contagiando le maggiori forze della sinistra. Vediamo - in ordine di apparizione - il capo del primo sindacato italiano che da giorni, con nonchalance, parla e straparla di «rivolta sociale», salvo poi regalare a Giorgia Meloni un libro di Albert Camus di cui palesemente Landini non ha capito niente. Preoccupato del suo posto fisso (negli studi televisivi), il capo della Cgil deve essersi fermato al titolo L'uomo in rivolta, e pensa di associare ai propri deliri piazzaioli quel grande pensatore antitotalitario. In un posto normale qualcuno gli avrebbe ripetutamente chiesto: «Caro Landini, ma che dice? Rivolta per cosa?». E tuttavia, perfino al di là del merito, e quindi della palese irragionevolezza di un sindacato che urla quando l'occupazione va bene e mentre il governo taglia le tasse proprio ai ceti più bassi e ai lavoratori a stipendio meno elevato, resta un gigantesco punto di metodo: è sano, è fisiologico, è igienico alzare i toni in questo modo, ricorrere dolosamente a un linguaggio estremista, caricare il discorso pubblico di rabbia? E dopo cosa si vuole fare? Da ragazzi, ci fu insegnato che, quando si apre una vertenza politica o sindacale, bisognerebbe almeno avere un'idea di uscita, una o più soluzioni possibili, preparare degli scenari ragionevoli. Qui a cosa si punta, di grazia? Si cerca l'incidente? Si insegue deliberatamente lo scontro? DIECI ANNI AL COMANDO Ma non c'è solo Landini. Subito a ruota, segue e insegue il Pd, partito che, prima dell'insediamento dell'esecutivo Meloni nell'autunno 2022, aveva governato - con la sola interruzione di un anno di maggioranza gialloverde - per dieci anni consecutivi, peraltro senza mai aver vinto un'elezione politica dal 2006. Un partito di grisaglie ministeriali, di occupanti in permanenza di ogni postazione pubblica, e anche orgoglioso di esserlo: «partito delle istituzioni», si definivano al Nazareno. Ora è chiaro che Elly Schlein stia cercando di realizzare quello che gli esperti di marketing chiamerebbero un “rebranding” del partito, cioè una sua trasformazione per renderlo più movimentista: scelta comprensibile e anche razionale dal punto di vista della nuova segretaria. Ma - come avrebbero detto i latini - est modus in rebus: trasformarsi in casinisti di piazza, in agitatori spericolati, significa contendere spazi a quella che un tempo era l'ultrasinistra. Anche qui domandiamo: dove volete arrivare?Qual è l'esito che immaginate? Non vorremmo che - più o meno consapevolmente - fosse proprio il divario elettorale e la non competitività della sinistra rispetto al centrodestra ad accentuare questa deriva estremista. Come dire: non possiamo vincere e nemmeno pareggiare? E allora ci scateniamo: urla, casino in piazza, più un po' di dossieraggio e di mobilitazione delle toghe rosse. Si tratterebbe di una mossa letteralmente disperata. La partita politico-elettorale resterebbe persa, e la gran parte dei cittadini potrebbe solo accrescere la propria ostilità e diffidenza verso la sinistra. Ma in compenso - questo dev'essere il calcolo di qualche apprendista stregone- si potrebbe cercare di mandare a monte la partita e di spaccare le gambe al centravanti avversario. Deriva inquietante.
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