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Daniele Capezzone: i nemici a sinistra si sono già consegnati al leader grillino
29-02-2024, 08:17
Non so se abbia davvero ragione Marco Travaglio quando dice che Giuseppe Conte è sottovalutato (è il «leader più sottovalutato al mondo», ipse dixit). Forse, più realisticamente ma con il medesimo risultato politico finale, sono stati largamente sopravvalutati gli altri, se – con facilità irrisoria, senza neanche sgualcirsi la pochette – Conte li ha già praticamente tutti sottomessi: un guinzaglio qua, un collare là, un bavaglio qui, un paio di manette lì. No, non è la sceneggiatura di un film porno -politico genere sadomaso (per la regia di Rocco, nel senso di Casalino, non di Siffredi): è semplicemente la descrizione dell'operazione politica culminata con il voto in Sardegna. Complice il talento con cui la destra ha inanellato tutti gli errori possibili, Conte è riuscito a far tesoro delle circostanze in modo sensazionale, mettendo a frutto un bottino di voti tutto sommato modesto per il M5S (7,8%), e ricavandone però un profitto politico immenso. Ricapitoliamo: una regione conquistata (la prima a guida pentastellata); Elly Schlein palesemente al traino di una vettura rigorosamente a trazione grillina; il duo Fratoianni-Bonelli già naturalmente embedded (e dove vanno, se no?); i giornali del gruppo Gedi in scia al Fatto quotidiano (che – va detto – avrebbe tutto il diritto di prenderli in giro visto lo zelo con cui si sono accodati alla linea della convergenza tra Cinquestelle e Pd). Morale. Non sappiamo se sia già da dare per acquisita la prospettiva di un'alleanza organica nazionale, ma una cosa è sicura: se non un acclarato dominus politico, abbiamo per lo meno un sicuro e incontrastato titolare di una vera e propria golden share, e cioè Conte stesso. Il quale – da posizione di forza – fa perfino il difficile; dettai tempie le condizioni; dirama le convocazioni (più la blacklist dei non convocabili); fa sapere che il campo deve essere più “giu sto” che “largo” (traduzione: sarà lui ad avere l'ultima parola su chi potrà esservi ammesso); dice sì alla convergenza in Abruzzo ma fa ancora lo svogliato in Piemonte e in Basilicata. Si sa: Conte è strafavorevole all'alleanza con il Pd quando la guida è grillina (o in subordine terza-neutra-civica-tecnica), mentre ha sempre un'obiezione pronta quando il frontman è un piddino. Ovvio: in quel caso il profitto politico maggiore sarebbe di qualcun altro, e allora tanto vale riservare ai grillini un poco sportivo ma assai callido diritto di sgambetto. ASCESA E REAZIONI - Davanti a questa (ir)resistibile ascesa, il comportamento degli altri protagonisti – ormai autoridottisi a comparse – è sconcertante. La Schlein (si veda l'intervista di ieri a Repubblica) è entrata nel ruolo non dell'azionista di maggioranza ma dell'aspirante partner innamorata e quasi implorante. Come se il Pd potesse incassare un dividendo politico da una comunicazione tutta centrata sull'inseguimento del leader grillino. Quanto ai cosiddetti riformisti del Pd, sono ormai allo stato di desaparecidos: muti e scomparsi dalla scena. E perfino coloro che – fuori dai confini del Pd – negli anni scorsi si erano concessi feroci critiche contro i pentastellati si muovono ora come groupies adoranti. Prendete Carlo Calenda: ai grillini ha detto di tutto per anni (la definizione più gentile era: “scappati di casa”), ma ora si propone lui come inquilino. Ieri – doppia umiliazione – Conte lo ha evocato in modo perfino sbrigativo («Il mio numero è sempre lo stesso: Calenda decida cosa vuol fare da grande, ma lo decida una volta per tutte, perché gli elettori ci chiedono serenità e credibilità») e un editoriale del Foglio lo ha esposto al rischio fatale di “irrilevanza” se non sceglierà subito dove collocarsi («O di qua odi là. Perché Calenda fa bene a tende re una mano ai vecchi rossogialli»). Alé: mesi e mesi di fiammeggianti sfuriate contro i grillini, e poi Calenda – dopo neanche mezza giornata dalla chiusura delle urne sarde – è già con in mano una specie di cartolina precetto. In un commento brillante, Giuliano Ferrara ha rincarato la dose richiamando tutti al pragmatismo («il rispetto che si deve ai fatti»): come dire, in una tendenza bipolarizzante, non si può avere la presunzione di restare in mezzo. Il che è per molti versi condivisibile e sicuramente razionale: peccato che cozzi con tutte le prediche con le quali Calenda ci ha ammorbato per me si. Non si sottrae nemmeno Piero Sansonetti, che pure – per anni – era stato interprete di una collaudata gag televisiva («Conte? Ma Conte non esiste! Lo sapete tutti che non esiste, vero?»). Ecco, è stato arruolato pure lui in un battito di ciglia. Ieri infatti l'Unità ti tolava così: «Il “regimetto” della Meloni ha fatto flop: tornano in gioco la sinistra e i Cinquestelle», sotto l'occhiello «La svolta della Sardegna». Insomma: tutti con vocati, anzi autoconvocati. Sperando che i nuovi padroni – Conte e Rocco Casalino – siano clementi e decretino l'amnistia, o almeno un piccolo indulto per chi aveva osato svillaneggiarli.
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