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Daniele Capezzone: i nodi da sciogliere per il centrodestra
27-07-2024, 09:48
È decisamente giunto il momento di prestare attenzione alla fastidiosa spia rossa che inizia a lampeggiare sul cruscotto della macchina del centrodestra. Nulla di catastrofico, intendiamoci. E – nella logica costruttiva che ci anima qui a Libero – va immediatamente segnalato ciò che invece dovrebbe rassicurare i dirigenti di Fdi, Lega e Fi. Alle elezioni europee, l'8-9 giugno scorso, gli italiani hanno ridato fiducia ai tre partiti della maggioranza. Forse senza entusiasmo («l'amore che strappa i capelli è perduto ormai», cantava De André), forse con un po' di disincanto: ma con una razionale conferma dell'investimento politico che gli elettori avevano compiuto a settembre 2022. Dunque, il bene più importante in democrazia, cioè il consenso, c'è ancora per il centrodestra. Tuttavia, comincia anche a esserci una quantità non piccola di nodi e di problemi. Primo. Quanto è accaduto in Liguria è molto triste: Giovanni Toti merita totale comprensione personale, la sua lettera di ieri è coraggiosa e piena di intelligenza politica, né si possono accusare i tre partiti del centrodestra di averlo scaricato. Sarebbe ingeneroso e scorretto anche solo insinuarlo da parte nostra. E però non si è a nostro avviso colto pienamente il livello della sfida: l'attacco mediatico e giudiziario contro Toti avrebbe richiesto un poderoso rilancio e una significativa accelerazione della riforma della giustizia. Questo treno è positivamente partito dalla stazione, ma appare ancora lento e incerto nel suo percorso. Secondo. Complessivamente, la condizione del governo appare un po' statica da mesi. Sui capitoli decisivi (tasse, sicurezza, sanità, lavoro) non sono stati commessi errori, anzi la direzione è giusta: e tuttavia la sensazione è che la marcia sia ancora troppo lenta. Gli elettori di centrodestra non pretendevano né pretendono miracoli, ma non è sufficiente – per rassicurarli – dir loro che dall'altra parte si prepara un'ammucchiata di tassatori, di ecosvalvolati e di anti-occidentali. Questo lo sappiamo fin troppo bene: ma occorrerebbe che fosse la nostra squadra a giocar bene, oltre a invitarci a constatare quanto giochino male gli avversari. Terzo. Certo che questi avversari pensano solo a costruire un'accozzaglia in chiave “destruens”: anche loro sanno che, su tutti i temi decisivi, litigherebbero selvaggiamente in un primo eventuale Consiglio dei ministri giallorosso. Ma intanto si stanno mettendo insieme, e non si tratta di una novità da sottovalutare. Quarto. Da qui a fine anno si terranno realisticamente elezioni regionali in Umbria, Emilia-Romagna e Liguria. Se per caso (e i pronostici vanno purtroppo in questa direzione, per ragioni diverse) si registrassero tre affermazioni del centrosinistra, si tratterebbe di un fatto politico tutt'altro che marginale. Sarebbe l'equivalente di un turno di elezioni di mid-term malamente perso dal governo. UN AUTUNNO DIFFICILE Quinto. Tra Commissione Ue da formare (ma in un contesto che appare poco friendly verso Roma) e oggettive difficoltà di navigazione, costruire la legge di bilancio non sarà un'impresa semplice. Solo onorare gli impegni esistenti e confermare il taglio del cuneo fiscale imporrà una complicata operazione di reperimento di risorse. Ma ne servirebbero altre per avviare i necessari tagli fiscali anche per le altre fasce di reddito. Una discussione al riguardo sarebbe quanto mai necessaria, a mio avviso: nella prospettiva, che questo giornale ha ripetutamente suggerito, di un percorso a tappe, in 5-8 anni. Non si pretende una rivoluzione fiscale immediata: ma si auspicherebbe – questo sì – un cammino per dare a un numero elevato di contribuenti (non solo quelli delle fasce più basse) la speranza di un alleggerimento fiscale in un tempo medio. Sesto. Le sfide culturali e dell'informazione non stanno andando affatto bene per il centrodestra. Senza piangerci addosso e contemporaneamente senza false modestie, qui a Libero crediamo nella battaglia delle idee e a volte ci sentiamo un po' soli a combatterla, insieme a un pugno di voci amiche, ma con – tutt'intorno – molte timidezze e diversi autogol. Sono passati quasi due anni dalla vittoria elettorale di settembre '22: eppure l'Italia dei media sembra ancora un paese in cui il centrodestra è all'opposizione. È giunta l'ora di mettere il tema all'ordine del giorno. Settimo. Inutile girarci intorno: tra i tre partiti della maggioranza si percepiscono tensioni, in parte fisiologiche ma in parte evitabili. E ovviamente più semplice dirlo che farlo: ma sarebbe interesse di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, magari aiutandosi con un cronoprogramma, tentare di costruire un'offerta politica complementare anziché conflittuale. Detta in modo meno arrotondato: la prospettiva desiderabile è quella di un nuovo impegno programmatico che tenga conto delle richieste di ognuno dei tre partiti e che dia a ciascuno di essi la ragionevole speranza di centrare dei risultati visibili da qui a fine legislatura. Al contrario, la prospettiva da evitare è quella di una stasi di fondo, all'interno della quale ci sia spazio quasi solo per la pratica quotidiana del controcanto, della differenziazione, della micro-polemica. Esercizi, questi ultimi, detestati dagli elettori di centrodestra: ognuno dei quali ha certamente un partito preferito, ma – di sicuro – non coltiva alcuna ostilità per le altre due formazioni. L'elettore di centrodestra (lo testimonia, negli ultimi dieci anni, una qualche fluidità nella distribuzione del consenso tra i tre partiti) vuole battere la sinistra e soprattutto vivere in un paese con meno tasse, più sicurezza, meno immigrazione illegale. Vale la pena di concentrarsi con spirito costruttivo su queste priorità. Per non fare alla sinistra regali che non merita.
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