s
Daniele Capezzone: i talebani dell'ecologia in guerra con i cittadini
22-02-2024, 12:58
La nuova gabbia di divieti -regole -restrizioni “green” dentro cui stiamo per essere rinchiusi, con particolare accanimento nei confronti degli automobilisti (oggetto di una vera e propria jihad), non è solo preoccupante per un sistematico e sempre più prepotente attacco alle libertà personali, ma - ancora di più, se possibile per la mentalità che svela: per un tentativo nemmeno più nascosto di dirigere le nostre vite, di orientarle secondo la visione “etica” stabilita da altri, di premiarci o punirci a seconda del nostro grado di adesione al nuovo “dogma”. Da anni ci hanno già reso difficile la vita con una prima raffica di prescrizioni, di complicazioni, di precetti. Dopo di che viene fuori da dati variamente elaborati o interpretati - che quel primo blocco di regole non ha funzionato. E allora che si fa? Anziché immaginare un percorso diverso e meno ideologico, si applica il surreale schema per cui se la medicina non è stata efficace bisogna aumentarne il dosaggio. Come dire (ma siamo al manicomio): le restrizioni non hanno funzionato? E allora imponiamone ancora di più. In un cortocircuito micidiale, quindi, si creano le condizioni per una sempre maggiore colpevolizzazione - giuridica e perfino morale - del cittadino comune. E, se la logica è questa, nessun divieto può ormai essere escluso, nessuna invasione delle nostre vite può essere considerata inimmaginabile: anzi, la libertà individuale diventa allegramente sacrificabile in presenza della mitica responsabilità collettiva. LA STRATEGIA DELLA PAURA La triste realtà della stagione Covid (tra lockdown e greenpass) ha già parlato chiarissimo: usando l'arma della paura, si può tragicamente fare quasi tutto. Avevano ragione – su questo e non solo – i grandi teorici del realismo, Machiavelli in testa, che insistevano su alcuni caratteri non mutati della natura umana. Sì, siamo stati educati – in tempi più recenti – a certi standard di libertà e democrazia. Ma poi, al momento “opportuno”, il richiamo della paura ci porta a delegare e a subire. Di più: porta alcuni a collaborare con zelo insospettabile alla negazione della libertà propria e altrui. Corollario indefettibile: tutto ciò è accompagnato da una tremenda insofferenza verso qualunque dissenso, con le posizioni differenti dapprima malamente tollerate e poi brutalmente represse. E sono tanti – per ragioni “sanitarie” o “green” – a sfruttare questo giacimento politico. L'uso politicamente motivato di presunte circostanze emergenziali piace ai più furbi e spregiudicati tra gli statalisti, che vi colgono subito una favolosa occasione per scatenare i loro istinti dirigisti, per pianificare, per scegliere “vincitori” e “perdenti”, per ricondurre alla mano pubblica una sfera decisionale sempre più vasta. LA RELIGIONE VERDE Ecco, la killer application di questa tecnologia sociale è proprio l'ecofondamentalismo, il talebanismo green, ambito in cui l'uso della paura (moriremo tutti: e già il nome Ultima generazione scelto da uno dei gruppi più scatenati allude a un'apocalisse imminente) si accompagna a un approccio para-religioso: «Abbiamo peccato contro la Terra, la Natura si vendica, dobbiamo pentirci, dobbiamo decrescere». Capite bene che, dinanzi a un simile dogmatismo, non c'è razionalità che tenga, non c'è argomento fattuale, non c'è nemmeno dibattito possibile. Lo stesso futuro di deindustrializzazione, la perdita quasi certa di posti di lavoro, l'impoverimento dei ceti medi sono “dettagli” rispetto all'immensità del Male che abbiamo commesso e dal quale dobbiamo emendarci. Questa dimensione allucinata e mistica, questo approccio da religione farlocca e terrorizzante ha un'ulteriore caratteristica surreale: come ha ben osservato Antonio Socci, le posizioni della setta green sono assurte istantaneamente a religione di stato (o di superstato), nel senso che è poi la mano pubblica (di volta in volta a livello di Onu, di Ue, dei singoli stati nazionali, o di istituzioni territoriali e locali) a farsi carico di trasformarle in precetti a cui non ci si può sottrarre. Pena l'eresia, e il conseguente spettacolare - rogo. Se ci pensate, pure le scenate e le sceneggiate degli ecovandali sono perfettamente funzionali al disegno complessivo: servono a imporre mediaticamente una posizione estrema per giustificare e rendere “accettabili” le restrizioni (non meno estreme, ma che a quel punto parranno quasi un “compromesso”) che le autorità introdurranno in nome del green. Che tutto ciò avvenga invocando la “scienza” è poi ancora più surreale. È stato uno studioso acuto e sofisticato come Fabrizio Borasi a spiegare bene la torsione che troppi hanno finito per accettare: «A un mondo moderno [...] dove la scienza è legata al principio di verificabilità [...] si è sostituito un mondo postmoderno basato su verità indiscutibili e sulle conseguenti prescrizioni emanate da alcuni esperti insindacabili. A un mondo essenzialmente democratico anche nella scienza e nella medicina, si è sostituito un mondo di élites che si prendono cura delle masse dall'alto della loro “competenza” e con la forza del loro potere». Questa è l'inquietante stazione a cui è giunto il nostro viaggio. EREDITÀ Comprenderete che, davanti a uno scenario del genere, siamo letteralmente all'opposto dell'ambientalismo migliore, quello ad esempio auspicato – da sponde liberalconservatrici – dal compianto Roger Scruton: in quella visione, l'ambiente è certamente parte dell'eredità che abbiamo ricevuto e che va riconsegnata alle nuove generazioni, ma al centro c'è comunque l'umanità e il suo benessere. E tutto – senza ideologia – si traduce in un invito a un cambiamento prudente, a un saggio pragmatismo. Qui invece – quando si passa ai talebani green – il fattore umano rileva solo per l'individuazione del soggetto titolare della colpa e dunque meritevole di dolorosa espiazione. Ogni sacrificio è dunque ammissibile, comprimendo potenzialmente senza limiti la libertà individuale. «Non lo vuoi accettare? E allora stai uccidendo il pianeta». È tutto questo che va contestato e fatto saltare. Cari amici del centrodestra, la sfida è qui: davanti a simili follie, non basta invocare misure di “riduzione del danno”, quasi però riconoscendo le ragioni dei “talebani”, e chiedendo loro appena un po' di clemenza rispetto ai tempi di attuazione degli interventi restrittivi. No: è venuto il momento – con coraggio intellettuale – di contestare le basi stesse del loro approccio illiberale, la loro pretesa di impossessarsi delle nostre case, delle nostre auto, della nostra vita. La battaglia da fare è questa.
CONTINUA A LEGGERE
11
0
0
Guarda anche
Libero Quotidiano
06:26
Onda rossa nel Regno Unito: tutto come previsto, stravince Stramer. Conservatori mai così male
Libero Quotidiano
06:00
La sinistra condannata perché ignora il disagio: cosa ci insegna il caso-Francia
Libero Quotidiano
05:00
"Un livello ben più alto": Sinner incorona Berrettini, la "profezia" di Jannik
Libero Quotidiano
04:00
Come "allenarsi" alla dipendenza da cocaina: cosa sniffano i ragazzini italiani
Libero Quotidiano
04:00