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Daniele Capezzone: il virus "woke" che uccide menti e libero pensiero
15-02-2024, 08:09
Alzi la mano chi, a diciott'anni, non si è mai lasciato sfuggire una battuta inappropriata, oppure non si è mai rivolto a qualcun altro in modo greve. Credo che anche il settantenne più serio e compassato conservi, in qualche angolo della sua mente, un ricordo- per metà imbarazzante e per metà tenero verso se stesso - di una qualche impresa non proprio commendevole compiuta cinquant'anni prima. E chi non ha un ricordo di questo tipo deve aver avuto- è da temere un'esistenza piuttosto grigia e insipida. Già questa elementare constatazione di puro buon senso dovrebbe indurci a considerare con equilibrio le battutacce di due studenti bocconiani che hanno commentato il post (va detto, insopportabilmente woke, vera e propria fuffa politicamente corretta) in cui venivano presentati i nuovi bagni “gender neutral” dell'università milanese. Su Libero di stamattina vi spiega tutto la nostra Claudia Osmetti. Stadi fatto che i due ragazzi sono stati puniti in modo incredibilmente pesante: addirittura sei mesi di sospensione. Ecco: a noi questa sanzione pare non solo eccessiva e incongrua, ma soprattutto indice di una volontà di indottrinamento woke che va respinta. COLPIRE LE OPINIONI - Piaccia o no ciò che i due “reprobi” hanno scritto, si tratta comunque di opinioni, o al massimo di battute di cattivo gusto. Ma i due non hanno arrecato danno a niente e a nessuno, non hanno colpito né cose né persone. E allora, se vengono puniti, ciò accade non per ciò che hanno fatto, ma per ciò che pensano. Questo è quello che deve preoccuparci, questa è la ferita che rimane aperta agli occhi di chiunque abbia anche solo un minimo di sensibilità liberale. La triste realtà è che la cultura “liberal” (intrisa di ideologia di sinistra, di integralismo progressista, di fanatismo dirittista) è l'opposto di un'autentica cultura liberale. Ama parlare di tolleranza e di diversità, ma poi pretende di schiacciare con il martello dell'uniformità e dell'omologazione ogni pensiero davvero differente. Non mi metterò qui a ricordare le antiche tradizioni goliardiche (e di goliardia non è mai morto nessuno), né intendo apparire superficiale rispetto a quello che la sensibilità di molti giudica un modo di esprimersi maleducato e irrispettoso. Ma la maleducazione ammesso e non concesso che di questo si tratti - non può essere trattata come un “reato”, arrivando a punire qualcuno per ciò che pensa e dice, anziché per ciò che fa. Questa storia è significativa e inquietante: scuole e università dovrebbero aiutare i giovani ad aprire la loro mente. Qui invece più o meno consapevolmente l'invito è quello di chiudere queste giovani menti, addestrarle alla “conformità” (se non al conformismo), allenarle a uno stato di indignazione perenne, di suscettibilità costante: ragion per cui basta una parola “sbagliata” per produrre scandalo e innescare un cortocircuito punitivo. Inutile girarci intorno. Sta arrivando anche qui in Europa il morbo che ha già contaminato le università anglosassoni. Da quelle parti, è sempre più costante la pratica dei safe spaces, cioè di spazi concessi ad associazioni universitarie che sono così autorizzate a escludere e precludere opinioni diverse dalle loro: tenendo fisicamente fuori libri, giornali, interlocutori “sgraditi”. Sempre più regolarmente, insegnanti e lecturers hanno l'obbligo di dare il cosiddetto trigger warning all'inizio di una lezione, nel caso in cui stiano per affrontare temi potenzialmente sensibili (religione, sesso, gender, ecc.), in modo da consentire agli studenti che lo vogliano (ad esempio a quelli di religione islamica) di lasciare l'aula. È via via più diffusa la figura (Orwell non avrebbe saputo immaginare di meglio, cioè di peggio...) del diversity officer, e cioè di un funzionario che, seguendo le lezioni e magari anche le conversazioni, ha il compito di cogliere espressioni sgradite, sgradevoli, offensive, e di segnalarle in privato al “colpevole”, prospettandogli il rischio di essere sanzionato se l'episodio dovesse ripetersi. Opinioni non conformiste (o semplicemente non conformi al politicamente corretto) sono classificate come hate speech. RELIGIONE SENZA DOTTRINA - Hanno ragione (da Niall Ferguson al compianto Roger Scruton) quelli che si sono ribellati a questa deriva: un approccio nato per non discriminare sta inesorabilmente trasformandosi in un mostro, in una religione senza dottrina ma ancora più dogmatica e intollerante, in un meccanismo di intimidazione contro i portatori di idee non omologate. Una delle mostruosità più in voga è quella dei diversity statements: cioè, ai fini dell'ammissione accademica o dell'ottenimento di un posto di lavoro presso l'università, di dichiarazioni preventive su convinzioni, idee, o questioni attinenti al dibattito politico. Tutto questo è controllo del pensiero, ed è assolutamente inaccettabile. Sempre nel mondo anglosassone (e la cosa sta drammaticamente arrivando anche qui) esistono programmi basati sul ben noto trittico DEI (diversità, equità, inclusione), che qualche eroico oppositore ha efficacemente ribattezzato “discriminazione, esclusione, indottrinamento”. Per parlare dei danni già procurati da questa nuova religione senza dogmi, voglio citare Eric Kaufmann. Kaufmann (che è nato in Canada, insegna a Londra, e dedica le sue prevalenti attenzioni a Regno Unito e Usa) è un docente universitario nonché un fellow del centro studi britannico Policy Exchange, e ha realizzato all'inizio del 2023 un impressionante report sugli effetti sui più giovani dell'indottrinamento scolastico woke. FRUTTI AVVELENATI - Tra i diciottenni interpellati, il 63% ha dichiarato di aver ricevuto a scuola insegnamenti (o di aver sentito parlare da un adulto) a proposito di almeno una di queste tre nozioni tipiche della critical race theory: «privilegio bianco», «pregiudizi impliciti», «razzismo sistemico». E se si includono idee proprie del radicalismo femminista come il «patriarcato», la percentuale sale al 78%. E ovviamente - a cascata- coloro che hanno ricevuto questo tipo di insegnamento sono propensi a considerare il politicamente corretto più come un (buon) modo per proteggere i “gruppi svantaggiati” che non come un (cattivo) mezzo per comprimere la libertà d'espressione. Controprova? Le ragazze e i ragazzi che tendono a dissentire da questa impostazione sono portati ad autocensurarsi, e in particolare chi ha ricevuto insegnamenti relativi ad almeno tre dei concetti citati prima è preoccupato di poter essere punito o espulso in ragione delle proprie idee divergenti. Vedete come ci porta lontano la punizione incongrua comminata dalla Bocconi a due ragazzi? La realtà è che oggi il ranking delle università è legato anche a queste cose (sostenibilità e diversity). A noi, che ci chiamiamo Libero, piacerebbe invece che fosse legato alla difesa e all'affermazione della libertà di pensiero e di parola. Ci auguriamo dunque che i due ragazzi siano riammessi: è in gioco molto più che un semestre di studio.
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