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Daniele Capezzone: l'accoppiata Musk-Trump fa impazzire la sinistra
14-08-2024, 08:12
A sinistra uno lo odiano, l'altro pure. Sentirli insieme (Elon Musk più Donald Trump, o viceversa) li ha fatti impazzire: è stato l'inverarsi di un incubo. La verità è che dalle due della notte scorsa, dai 42 lunghissimi minuti di attesa della conversazione tra l'uomo più ricco del mondo e quello che vuole tornare a essere il più potente del pianeta, i progressisti al di qua e aldilà dell'Atlantico non hanno retto sul piano nervoso, e si sono abbandonati a una vera e propria crisi isterica. A onor del vero, chi legge Libero sa già tutto sul tema: anzi, sta almeno un giro avanti, visto il paginone che avevamo pubblicato qualche giorno fa. Ma nelle ultime ventiquattr'ore – ammesso fosse necessaria – è arrivata una potente conferma. Alla sinistra di tutto il mondo, per capirci, andava bene quando, prima di Musk, il vecchio Twitter bannava Trump, quando bloccava l'account del New York Post (colpevole di aver svelato il brutto affare del laptop del figlio di Biden, Hunter). Ma adesso che X (come Musk l'ha ribattezzata) non solo non censura più, non solo non bolla più come “fake news” tesi dissenzienti o difformi dallo standard progressista, ma addirittura ha reso pubblico e trasparente il suo algoritmo di funzionamento, non va più bene. Si dice: però ora Musk pende a destra, verso Trump. E sarà pur vero: ma in compenso non censura nessuno, mentre prima il canale social censurava e contemporaneamente pendeva a sinistra, pur senza dichiararlo. A onor del vero, il pur bizzarro Elon aveva detto la pura verità nel momento in cui presentò l'offerta di acquisto di Twitter. Musk aveva parlato di una società dal «potenziale straordinario» che lui si proponeva di liberare. «Non sto giocando. Sono andato dritto». Va sottolineato che, prima dell'offerta decisiva, Musk aveva twittato a ripetizione per illustrare cosa a suo avviso non funzionasse e cosa avrebbe dovuto essere trasformato in Twitter. Tutte osservazioni nella direzione della libertà d'espressione e del free speech, sacro per gli americani ma molto spesso sacrificato dal vecchio Twitter sull'altare del politically correct. Insomma, è come se Musk, a suo tempo, avesse detto: compro tutto, sono disposto a pagare un prezzo pazzesco, ma porto con me il valore aggiunto della libertà, per definizione non comprimibile né negoziabile. Rileggiamo ancora una volta le parole chiave della sua comunicazione in quel momento: «Ho investito in Twitter perché credo nel suo potenziale per essere la piattaforma per la libertà di parola in tutto il mondo, che ritengo sia un imperativo sociale per una democrazia che funzioni». Attenzione, però. Come oggi si comprende bene dai numeri pazzeschi della diretta della notte scorsa (1 miliardo di visualizzazioni, più 1 milione di nuovi followers per Trump tutti in un colpo), non era e non è in gioco solo una questione di principio, pur di capitale importanza, e cioè l'estensione della libertà di parola su uno dei canali social più importanti al mondo. Il punto era ed è anche la possibilità di scardinare un mondo, un'impostazione a senso unico, un orientamento monoculturale. Non si tratta, qui, di rilanciare la polemica mai sopita dal fronte trumpiano sui risultati del 2020, ma di guardare a un'evidenza sottolineata da Holman W. Jenkins sul Wall Street Journal: sia nel 2016 che nel 2020, le due ultime elezioni presidenziali sono state decise da meno di 70mila voti in tre Stati. E realisticamente pure le elezioni del 2024 saranno decise da un margine strettissimo. La presenza di Musk ha già cambiato tutto, rendendo elettoralmente e culturalmente contendibile quello che i dem continuavano a considerare un loro terreno esclusivo di caccia. Secondo un'analisi di un paio d'anni fa del Pew Research Center ripresa a suo tempo dal Financial Times, gli utenti del vecchio Twitter erano in media più giovani, più istruiti e più di sinistra del resto della popolazione, e tendevano a essere opinion formers, cioè formatori dell'opinione altrui. Per non dire dell'orientamento politico di chi ci lavorava: un'impressionante tabella (fonte: Center for Responsive Politics) mostra le donazioni fatte in passato dai dipendenti delle principali aziende a candidati politici: il 98,7% delle donazioni fatte da dipendenti di Twitter (pre Musk) è andata ai democratici, come il 99,6% di quelli di Netflix, il 97,5 di quelli di Apple, il 94,5% di quelli di Facebook e così via. Intendiamoci bene: Musk, in tutta la sua vita precedente alla fase attuale, non è mai stato un kamikaze pronto a immolarsi per nessuno. Lui ha sempre suddiviso in modo sostanzialmente equo le sue donazioni tra democratici e repubblicani. Stavolta sarà diverso: ma, visto il comportamento degli altri oligarchi della rete, si tratta di un fattore di riequilibrio. Che non a caso scatena un odio e un'ostilità assoluti e ciechi a sinistra. Non solo. A soffrire d'invidia sono anche i media tradizionali, tv in testa. In Europa la tv generalista è ancora fortissima, direi decisiva ai fini di un risultato elettorale. Il sistema televisivo americano è da anni molto più spezzettato. Ma stavolta sono i canali social a poter giocare un ruolo enorme. E Musk – per ben tre volte – è andato a sfidare il sistema televisivo. La prima volta è stata quando, nei mesi scorsi, non ha esitato a dare ospitalità al controverso Tucker Carlson, appena cacciato da Fox News, ovviamente veicolando l'idea secondo cui i media tradizionali – prima o poi – subiscono o praticano la censura, mentre il suo X consente e consentirà libertà di parola. La seconda volta è stata quando il lancio della candidatura alle primarie repubblicane di Ron DeSantis, governatore della Florida, è avvenuto – gran cerimoniere lo stesso Musk – proprio su X. I media tradizionali ironizzarono su un problema tecnico iniziale che ritardò la trasmissione di qualche minuto, ma faticarono a nascondere l'irritazione per l'ennesimo colpaccio riuscito a Musk: mostrare che, anche per un evento politico di primissimo livello, non era più detto che il palcoscenico naturale dovesse essere quello dei media analogici. E il terzo colpo è arrivato l'altra notte con Trump e con i numeri pazzeschi che abbiamo citato. E il volpone Musk non intende fermarsi: ha esteso l'invito – stessa formula – anche a Kamala Harris. Che lei accetti o no, sarà ancora una volta Elon a occupare il centro della scena, anzi del ring.
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