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Daniele Capezzone: Ora salvate il campione dalla melassa
29-01-2024, 08:17
E ora qualcuno salvi Jannik, povero figlio! Se è scaramantico, prenda subito gli opportuni provvedimenti, e adotti adeguate contromisure apotropaiche. Altrimenti, qui si rischia il bis di ciò che accadde – tragicamente – nel 2013 alle Hawaii, nelle acque di Honolulu, quando a causa di una perdita in una conduttura che serviva al rifornimento di alcune navi da carico, 1400 tonnellate di melassa furono riversate in mare, travolgendo e avvelenando migliaia di pescioloni e pesciolini. È così: la melassa può uccidere, e – se anche non uccide – ammorba. Salvate dunque Jannik dagli inviti di Fabio Fazio. Ne è uscito vivo almeno una volta, ma è meglio non rischiare ancora. La fabiofazizzazione è peggio della melassa: ti si appiccica addosso, non ti si stacca più, ti incolla a uno standard perennemente uguale a se stesso, tra bontà recitata, trasgressione simulata («Fermati, Lucianina!»), buoni che si autoproclamano buonissimi, e quindi si abbracciano tra loro, si chiosano, si applaudono. Resisti, Jannik, non andare, e se necessario usa la racchetta per difenderti. Per le stesse ragioni, salvate Jannik dalle interviste di Walter Veltroni. Qui siamo sulla medesima lunghezza d'onda del fabiofazismo, ma in più c'è una doppia componente ancora più tossica: la parte lacrimogena (bisogna sempre piangere: anzi, prima si piange, e poi eventualmente si spiega perché) e la parte rieducativa (la malcapitata vittima finisce sempre nel ruolo del bimbo buono che recita la poesia: un appello qua, un diritto là, sempre nel solito mare di melassa). Salvate Jannik dal Festival di Sanremo. Già lo vedo, trascinato a forza sul palco dell'Ariston tra qualche giorno. E, da persona naturalmente gentile, potrebbe effettivamente andare, sorridere mescolando timidezza e un filo di disagio, far innamorare figlie e madri di mezza Italia. Ma attento, Jannik: non sai cosa ti metterebbero prima e dopo. Potresti finire in sandwich tra un monologo di Rula Jebreal e una sbroccata di Morgan: roba da preferire una sfida mortale con Djokovic-Medveded-Alcaraz. Salvate Jannik dai tweet dei politici. Non se n'è salvato uno, di maggioranza e di opposizione, di governo e di sottogoverno, di mezza sinistra e di mezza destra: tutti hanno miseramente timbrato il cartellino della banalità, del conformismo. «Forza Jannik», «orgoglio italiano» (patriotticamente firmato Pd, e voi capite che già si ride), «l'Italia conquista gli Australian Open» (twittato dalla Meloni, e se se ne accorge Repubblica siamo già a un passo da una polemica sulle nuove guerre coloniali, ma non vorremmo dare suggerimenti), e poi tutti gli altri a ruota. Però scusate, amici parlamentari-ministri-governatori-assessori (sia detto con doveroso rispetto): ma agli italiani cosa interessa del vostro tweet? Che Sinner sia bravo l'hanno capito da soli. Questa corsa – peraltro rallentata e aggravata da pance debordanti e maniglie dell'amore – a celebrare il campione non fa un po' ridere anche voi? Pagate e strapagate consulenti (più paraguru che guru) per curarvi i canali social, e quel che viene fuori sono slogan tromboneschi, didascalie retoriche, euforie posticce? Jannik, mandali tutti affanculo. Poi però – se hai ancora un minuto di tempo – manda affanculo pure noi dei giornali, dei media, delle tv. Sei mesi fa, gli “esperti” ti avevano dato per cotto, erano lì a evidenziare problemi fisici, problemi tecnici: ti avevano pure criticato per presunto scarso spirito nazionale. E ora eccole lì le facce di bronzo: pronte a celebrarti, a osannarti, a incensarti. Falsi come Giuda, servili peggio di Fantozzi. Naturalmente, salvate Jannik anche dai vecchi campioni del tennis, che ora lo esaltano in tv, ma – dal teleschermo, almeno in qualche caso – si intuisce il fegato che scoppia e la morte nel cuore. L'invidia è una brutta bestia, e mascherarla non è per niente facile. E infine salvate Jannik da tutti noi, dall'italiano medio che siamo, dal mitomane social che ci racconta della sua prima racchettina da tennis, del suo completino Fila o Tacchini di quarant'anni fa, di «quella volta che io...». E già si sbadiglia. Caro Jannik, ti è chiaro il guaio in cui ti sei cacciato? Stracomplimenti, in bocca al lupo e buona fortuna: ne hai maledettamente bisogno.
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