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Fausto Carioti: il Ppe prende le distanze dai Verdi, resta aperto il dialogo con FdI
20-07-2024, 08:22
Ursula von der Leyen festeggia il bis alla guida della commissione Ue, ma dentro ai Popolari europei, che l'hanno candidata, non mancano toni preoccupati. Chi è vicino al tedesco Manfred Weber, che del Ppe è il presidente, spiega che «il dialogo con Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia deve continuare. Avremo bisogno gli uni degli altri». Il fatto che il partito della presidente del consiglio non abbia votato in favore della loro esponente viene considerato una battuta d'arresto, una ferita che il tempo rimarginerà, non la troncatura del rapporto. C'è un'altra convinzione, lì dentro: «Non è nata una nuova maggioranza politica». Nulla di «strutturale», insomma, secondo i vertici dei Popolari, li legherebbe adesso ai Verdi, anche se con i loro voti (a spanne circa 45: lo scrutinio era segreto) costoro hanno consentito l'elezione di von der Leyen, che ha vinto con un margine di 41 voti. Il fatto che i Verdi restino fuori dalla coalizione che darà la linea alla Ue è la condizione essenziale affinché il rapporto tra Ppe e Fdi possa proseguire. E certezze su questo, al momento, non ce ne sono. Di sicuro c'è che la neoletta ha subito voluto ringraziare i Verdi per l'aiuto che le hanno dato, dopo che lei aveva fatto loro concessioni importanti sul Green Deal. Ma è vero pure che nell'aula di Strasburgo, a differenza di quanto accade nei parlamenti degli Stati, le maggioranze si formano sui singoli provvedimenti e possono cambiare senza che la commissione ne risenta, anche perché i commissari sono espressione dei governi nazionali, non dei partiti in parlamento. Un'altra certezza è che l'abbraccio con i Verdi, che i Socialisti vorrebbero rendere stabile, imbarazza metà del Ppe. I cui candidati, in Germania e in altri Paesi, avevano fatto campagna elettorale promettendo marcia indietro sul Green Deal. Vale anche per i forzisti: Antonio Tajani prima delle elezioni diceva che «il fondamentalismo green porta a sbattere», e dopo ha insistito sul fatto che «è impossibile aprire ai Verdi, perché i cittadini europei hanno dato un'indicazione molto chiara». Tanti suoi colleghi tedeschi avevano garantito agli elettori moderati, tentati da Alternative für Deutschland, la revisione del Green Deal e un programma europeo duro nei confronti dell'immigrazione illegale. E come primo risultato portano una presidente Ue eletta da una coalizione più a sinistra della precedente, in cui hanno un peso decisivo i talebani dell'ecologismo. Poi ci sono i numeri: Socialisti e Verdi, insieme, hanno 190 eletti, due in più dei Popolari. Che in maggioranza verrebbero quindi scavalcati dall'asse rossoverde, con i liberali di Renew Europe a fare da cuscinetto. Tutto questo spiega perché tanti esponenti del Ppe hanno passato la giornata di ieri a prendere le distanze dai compagni di votazione. Lo stesso Tajani ha assicurato che «con i Verdi non c'è stato alcun accordo politico, non credo che tutti i Verdi abbiano votato per von der Leyen». Tra i Popolari si fa notare che all'interno del potente consiglio Ue, che riunisce i capi di Stato e di governo e definisce le priorità dell'Unione, oggi figurano undici dei loro, quattro socialisti, quattro di Renew Europe, due di Ecr (Meloni e il ceco Petr Fiala), Viktor Orbán e cinque non allineati: un organismo che pende a destra, senza alcun verde. Lo sanno anche dentro Fdi, dove l'idea di portare avanti il rapporto costruito col Ppe è ampiamente condivisa. Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, lo dice in un'intervista all'Huffington Post: «Il no a Ursula von der Leyen non cambia la prospettiva. Oggi è così, ma il processo di un'alleanza tra Conservatori e Popolari, alternativi a Socialisti e Verdi, è irreversibile». Quanto a von der Leyen, spiega a Libero Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi al parlamento europeo, «giovedì si è dovuta spostare a sinistra per pararsi dai franchi tiratori della “maggioranza Ursula”. Ma i numeri del nuovo parlamento sono più a destra che nella passata legislatura, e anche il consiglio Ue si è spostato a destra. Spetterà quindi al Ppe scegliere. Se vorranno essere coerenti con le posizioni espresse in campagna elettorale, contro le eco-follie e per il blocco dell'immigrazione irregolare, noi siamo pronti a dialogare con loro, provvedimento per provvedimento, e a fare da “ponte” con i partiti alla nostra destra». Molto si capirà dalle nomine dei commissari: quali deleghe avrà quello scelto dal governo italiano? Avrà anche la carica di vicepresidente? Sarà una vicepresidenza esecutiva, come sembrava previsto? Su questo ultimo punto si sa che von der Leyen, forte dei numeri con cui è stata eletta, ora vorrebbe che non ci fossero vicepresidenti esecutivi, in modo da concentrare in sé più poteri. In Italia il diretto interessato dovrebbe essere Raffaele Fitto. Il quale, ieri, ha ribadito quanto già detto dalla premier: «Il voto di giovedì non comporta alcun cambio di approccio rispetto ai passaggi successivi». Tutto come prima, almeno in teoria. I governi proporranno due nomi (un uomo e una donna), von der Leyen distribuirà le deleghe trattando con i leader, il parlamento europeo approverà (o no) la commissione. A ottobre, quando la squadra si sarà formata, le intenzioni di von der Leyen e del Ppe, anche nei confronti di Fdi e dell'Italia, saranno più chiare.
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