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"Gli stessi slogan", Giorgia Meloni come Adolf Hitler: le follie di Montanari sul Fatto
20-11-2024, 02:00
Il business del fascismo immaginario sta arricchendo centinaia di sedicenti intellettuali, scrittori, artisti italiani. Genera meno fortune elettorali ai politici progressisti, ma tanto loro non lo capiscono. Solo che siccome nella mangiatoia ci si stanno truffando in troppi, ora qualcuno inizia a diversificare. E, dallo spettro di Benito Mussolini, è diventato di moda agitare direttamente quello di Adolf Hitler. È il caso di Stefano Massini che sta portando a teatro il Mein Kampf, con la claque di “critici” di sinistra pronta ad applaudirlo. Capofila, Tomaso Montanari, rettore dell'Università per stranieri di Siena dal 2021 e probabile paziente zero del fascismo immaginario. Sul Fatto Quotidiano, Montanari recensisce enfaticamente lo spettacolo di Massini che, ricostruendo gli anni giovanili del futuro Führer, gli offre l'assist per la similitudine: l'Hitler dell'epoca sarebbe identico agli Orbán, ai Trump, ai Milei, ai Salvini, ai Vannacci e alle Meloni attuali. Tralasciando l'approssimativo accostamento tra leader molto diversi tra loro, paragonarli ad un diciannovenne Hitler “populista” che descrive la sofferenza dei lavoratori, la smania della “roba” dei benestanti, l'indifferenza della politica, è da cocktail di ansiolitici. Ma il vero bersaglio è Giorgia Meloni. Il dittatore tedesco lo definisce underdog, lo sfavorito, il sottovalutato. Lo stesso termine che il premier traspose su se stesso al momento dell'elezione. Per Montanari, il Führer che nessuno «vide arrivare» usava le stesse strategie che usa Meloni: ripetizioni di slogan volti a creare un nemico immaginario nel «diverso» per poi proporsi come guida. Alla fine dello spettacolo di Massini, scrive, «si esce sconvolti: perché noi le conosciamo, le ascoltiamo tutti i giorni, queste parole». Ma non si illuda, Montanari. Il problema non sono certo quelle. Per vedere i problemi che la sinistra non nota nemmeno più, non serve essere nazisti. Basta uscire dalle università, dalle tv, dai salotti. E dai teatri.
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