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Cultura e Spettacolo
Licinia Lentini: "Ho fatto teatro con Strehler ma tutti mi ricordano per i film con Banfi e Calà"
14-12-2025, 09:21
Licinia Lentini era la signora Borlotti ne “L’allenatore del pallone”, ma anche la signora Bellugi ne “Il commissario Lo Gatto” e, soprattutto, Moira la mandrilla di Porto Recanati nel primissimo “Vacanza di Natale”. Bella, alta, sensuale, Licinia («Perché questo nome? Mio padre amava la storia romana») era il sogno di tutti gli italiani che la ammiravano al cinema, in tv e sulle copertine dei settimanali. Fin quando, però, si è allontanata dai film leggeri («Il ruolo della bellona mi stava stretto») per dedicarsi al teatro impegnato («Ho lavorato con Strehler»). Ora, a 66 anni, Licinia insegna recitazione e doppiaggio a Roma e Firenze. Licinia Lentini, su internet c’è quasi nulla di lei, a parte la carriera passata. «Non ho i social e non amo avere visibilità né ricevere commenti, non è nel mio stile. Si vive bene anche senza, tengo molto alla privacy. In realtà anche questa intervista mi agita un po’». Non si preoccupi, parleremo soprattutto dell’aspetto professionale. A proposito, che fa ora? «Tengo corsi di doppiaggio alla Scuola Nazionale di Cinema Indipendente S.N.C.I. a Firenze e insegno recitazione e doppiaggio ai corsi della scuola “Omniartes” a Roma. Inoltre, sempre qui, mi occupo di arte terapia». Interessante. Come funziona? «Grazie alle arti si stimola la creatività: è possibile migliorare la qualità della vita ed è più facile guardarsi dentro. Io mi sono diplomata alla Poliscreativa di Roma del dottor Tamino. L’arte terapia è molto utile anche per gli attori e nei miei laboratori lavoro soprattutto sulla voce e sul corpo». I suoi allievi sanno del suo passato e della sua fama? La riconoscono? «Sì e sono curiosi di vedere i film di successo che ho interpretato, fanno mille domande. Anche al di fuori della scuola, però, spesso vengo fermata dagli ammiratori, per lo più 50enni, che non hanno dimenticato certe pellicole degli Anni ’80.Anche perché sui social, mi dicono, ci sono profili di Fan Club dedicati proprio a quei lungometraggi». Cosa le chiedono? «Ripetono a memoria frasi celebri dei film, tipo: “Se te chiedo un milione, te sembro esosa?”. E ridono di gusto». È la scena cult di “Vacanze di Natale 1983”, poi raccontiamo bene. Altre domande? «Molti si informano anche sui miei lavori a teatro con Strehler e Squarzina, o delle operette, del ballo, del canto. Sa, sono sempre stata un’artista multiforme». Vero. Allora torniamo indietro nel tempo e raccontiamo per bene tutto dall’inizio. Secondo le biografie online lei nasce a Roma il 4 marzo 1959. «Mio papà Giovanni è giornalista free lance e fotoreporter; mamma Marialuisa fa l’insegnante». Figlia unica? «No, ho una sorella più piccola, di nome Flavia, che però nasce pochi giorni dopo la morte di mio padre». Lei, in quel momento, quanti anni ha? «Solo 13 ed è un periodo difficilissimo da affrontare». Perché le danno il nome Licinia? «Papà è amante della storia romana. All’inizio, da piccola, è un nome un po’ ingombrante e vorrei chiamarmi Stella o Stellina, ma poi mi abituo e mi ci affeziono proprio perché è particolare: nella vita ho incontrato solo un’altra Licinia ed è stata una grande festa». Chissà in quanti modi strani l’avranno chiamata, per errore. «Lecitina, Lucina, Lacina, qualcuno pure Igina». La piccola Licinia che bambina è? «Vivace. I miei - appassionati di arte e cultura a 360 gradi - mi portano spesso a musei e concerti e, quando ho 5 anni, mi iscrivono a danza». Scuole? «Liceo classico al Virgilio e poi Scienze politiche. Nel frattempo, però, frequento anche l’Accademia Nazionale di Danza “Ruskaja” e a 16 anni sono già ballerina nelle opere liriche: con il corpo di ballo ci esibiamo in tutta Italia». È portata? «Per essere una ragazzina sono molto alta, 1.76, e slanciata: difetti per la danza classica, ma pregi per quella moderna. Così decido di cambiare». Come mai sorride? «Mi presento a un provino da Garinei e Giovannini, i fondatori della commedia musicale italiana, e ho una tutina rosa da ballerina. Mi guardano: “Meglio se ti metti un body e fai vedere le gambe”». Però la prendono. «Entro nel corpo di ballo tra le sei protagoniste della commedia musicale “"FeliciBumTà” con Gino Bramieri: per 4 mesi ci esibiamo al Lirico di Milano». Come è Bramieri? «Perfetto, molto professionale e attento a tutti i dettagli, anche perché la scenografia è complicata e ci sono tantissimi cambi di scena. La nostra è una tournée vera, pensi che quando ci spostiamo da una città all’altra ci vogliono quattro giorni per trasferire tutto. E abbiano un Tir solo per trasportare i cappelli di scena». Ma è già il Bramieri “re della barzellette”? «Alla fine di ogni spettacolo, regolarmente, si ferma 20 minuti davanti al pubblico per raccontare le ultime». Nel frattempo lei partecipa a Miss Italia 1976. «Mi iscrivo per gioco e senza pretese, perché sto già lavorando nel mondo dello spettacolo. Vengo eletta Miss Roma e mia mamma si arrabbia perché non sa niente. Poi, alle selezioni nazionali, divento Miss Eleganza». Nello stesso anno debutta al cinema. «L’agenzia che mi segue mi propone “Sturmtruppen” di Salvatore Samperi: nel cast ci sono Cochi e Renato, Teocoli, Boldi, Smaila. Io faccio la ballerina. Cosa ricordo? Il caldo terrificante: si gira in estate e siamo vestiti con cappotti pesanti». Poi lavora in “Ridendo e scherzando” di Salce e, soprattutto, in “Sella d’argento” con Giuliano Gemma. «Gemma è meraviglioso, gentile e carino. Io interpreto la tenutaria di un saloon e sono vestita western: in una scena deve venire vicino per parlarmi, ma si accorge che è più basso di me. Mi guarda: “È la prima volta che mi succede in carriera, devo usare una pedanina”». Sempre nel 1978 è tra le protagoniste di un’altra pellicola diventata cult: “Avere vent’anni” di Fernando De Leo. E si ritrova a sedurre Gloria Guida. «Mi scelgono perché danzo bene e mi dicono semplicemente di ballare, senza spiegarmi tutta la sceneggiatura del film: non immagino minimamente possa diventare una scena lesbo sexy». Ne “Gardenia il giustiziere della mala” è a fianco di Martin Balsam e Franco Califano. «Califano è il solito Califano, ma quello che mi sorprende è che su set si trasforma e diventa molto serio. Il film, però, non ha fortuna: a due giorni dalla prima proiezione Franco ha problemi con la giustizia e si blocca tutto. Nel 1980, invece, faccio un’esperienza attoriale interessante». Quale? «Nel film “Il giorno del Cobra”, con Franco Nero, interpreto un uomo. Ed è un lavoro sul corpo molto difficile». Impossibile raccontare tutti i film. Ora ne scelga uno lei. «“È forte un casino!” del 1982 con Bombolo e Cannavale. Bombolo è simpaticissimo, tipico romano verace, mentre Cannavale è davvero bravo, grande caratterista. Tra loro, fuori dal set, si fanno mille scherzi». Cinema, ma anche televisione. «Nel 1978 lavoro con Macario in “Macario più”, spettacolo nel quale lui è il grande protagonista che gestisce tutto, ma quando ci avviciniamo noi ballerine si fa piccolo piccolo. Poi, a Roma, lavoro con con Antonello Falqui, il quale mi offre di partecipare alla trasmissione del sabato sera “Studio 80” insieme con Christian De Sica, Leopoldo Mastelloni e Nadia Cassini». La vera grande fama, però, arriva al cinema: nel 1983 è nel cast del primissimo “Vacanze di Natale” di Carlo Vanzina. «Lo giriamo a Cortina, ma non c’è neve. Ci si arrangia con quella artificiale e, soprattutto, ci si concentra sugli interni». Lei è Moira, che Jerry Calà, parlando con Il Cumenda, definisce la “mandrilla di Porto Recanati, tipica marchigiana cabriolet, sempre aperta”. Una scena mitica alla pari di quella in cui lei dice “Se te chiedo un milione, te sembro esosa? ” «Con Jerry nasce una bella amicizia che prosegue anche dopo. L’aspetto divertente di quel film, per me, è la preparazione del personaggio: per interpretare Moira e parlare in quel modo studio a fondo, per settimane, il dialetto marchigiano». La pellicola è un successo clamoroso e l’anno dopo lei lavora ne “Delitto in Formula Uno” con Tomas Milian. «Lui ha un carattere chiuso e dà poca confidenza, ma è intenso. E, quando giriamo una scena in cui facciamo ginnastica, è molto attento a tenere il suo berretto di lana sempre a posto». Poi arriva un altro grande boom: il mitico “L’allenatore nel pallone”. «Conosco Banfi qualche tempo prima, facendo teatro nei tendoni di quartiere con Pippo Baudo. Quando il produttore Luciano Martino mi offre la parte per “L’allenatore nel pallone” accetto, ma non immagino certo che diventerà un film cult. La verità è che nessuno, sul quel set, ha grandi ambizioni e progetti economici: siamo tutti lì per divertirci e per confezionare un prodotto che riguadagni i soldi investiti». E invece la pellicola si classifica al trentesimo posto tra i primi 100 film di maggior incasso della stagione cinematografica.Lei interpreta la signora Borlotti, moglie del presidente della Longobarda, chiamata informalmente dall’allenatore Canà (Banfi) “la presidentessa”. E durante tutto il film è protagonista di una tresca amorosa con il capitano e centravanti della squadra: Speroni. Come mai ride? «Tempo dopo incontro Stefano Davanzati, l’attore che faceva Speroni, ma non lo riconosco. Mi chiama ad alta voce: “Licinia, non ti ricordi di me? Siamo stati a letto insieme”, riferendosi alla scena del film. Ma tutti ci guardano sorpresi». Meraviglioso. Parliamo di Lino Banfi. «Un compagno di lavoro affabile e molto generoso. Un monumento». Che la rivuole al suo fianco anche due anni dopo, nel 1986, in un altro strepitoso successo: “Il commissario Lo Gatto”. «Stiamo un mese e mezzo sull’isola di Favignana, bellissima, e interpreto la “signora Bellugi”». Licinia, in quel momento lei è al top: ha fatto la tv, è una star del cinema, è desiderata da tutti e occupa le copertine dei più importanti settimanali. Nel 1997, però, improvvisamente sparisce dalle sale cinematografiche. «Di offerte ne arrivano molte, ma ormai non sono più un ragazzina e interpretare la bellona di turno inizia a starmi stretto. Il teatro, invece, mi gratifica e decido di indirizzare lì la mia carriera, visto che già mi dà molte soddisfazioni: nel 1986, per esempio, recito nel “L’incidente” con Renzo Montagnani, per la regia di Luciano Salce». Due miti. «Montagnani ce l’ho nel cuore: bravo e generoso, mai visto atteggiarsi a primo attore». Diceva che a fine Anni ’90 decide di buttarsi totalmente nel teatro. Come? «Studio, approfondisco, lavoro nelle operette, faccio commedie e poi, un giorno, mi presento al Piccolo Teatro di Milano per cercare di farmi conoscere». Ma non è già famosa? «Al cinema e in tv, ma in certi ambienti intellettuali, in quel periodo, ci sono molte chiusure e vieni snobbata se arrivi da un altro ambito». E cosa fa? «Chiedo di poter assistere alle prove del “maestro”». Intende Giorgio Strehler? «Sì, mi accontentano e, poi, riesco anche a sostenere dei provini. Li passo tutti e, all’ultimo, si presenta direttamente lui». Cosa dice? «È soddisfatto, si complimenta spiegando che ho la personalità e la presenza giusta. Così vengo presa per la commedia “La grande magia”». Un ricordo di Strehler? «Facciamo molte prove solo noi due e, per spiegarmi come interpretare il personaggio, recita la mia parte mettendosi anche il mio costume da scena da donna». In quel periodo vive a Milano? «Sì e la amo, perché è una città meravigliosa, sono gli anni della cultura e degli intellettuali». Qualche altro grande artista che incontra? «Gigi Proietti. Una sera, a cena, gli faccio una battuta tagliente e lui, ridendo, risponde: Nun me tratta’ male, guarda che io so’ arto, non mi trattare male, guarda che sono alto». Uno spettacolo teatrale che ricorda con particolare piacere? «Il monologo “Mary Shelley & Frankenstein”, una sorta di regalo che mi sono concessa». Ma con il cinema non fa proprio più niente ora? «Mi offrono poche pose, non ha senso accettare. L’ultimo film è stato “Vaniglia e cioccolato” del 2004: ero Ilenia, la mamma del personaggio interpretato dalla Cucinotta. Almeno, in quel caso, mi sono divertita. Così come, l’anno prima, in “My name is Tanino” di Polo Virzì. Altra bella esperienza». Per quanto riguarda il doppiaggio, invece, cosa fa? «Sono diventata un’imprenditrice con una mia società con la quale arrivo anche a curare il doppiaggio in italiano delle commedie di Shakespeare della BBC con le voci dei più grandi attori del teatro italiano. È davvero un fiore all’occhiello». All’inizio raccontava dell’insegnamento. Come sono i giovani futuri attori? «Hanno voglia di arrivare rapidamente saltando la gavetta, che invece resta fondamentale. E alcuni, così, si bruciano». Licinia, ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione? «Profondo e di ricerca, il trascendente è molto importante». 2) Paura della morte? «No, temo le malattie». 3) Ha avuto molti ammiratori? «Sì, ma nel periodo dei film di successo ero felicemente fidanzata e serena». 4) Si è mai sposata? «No, ho vissuto due o tre storie importanti e belle, però senza arrivare al matrimonio. E non ho figli». 5) Li rivede i suoi film? «Capita di passare davanti alla tv mentre li trasmettono e dico: “Guarda la Lentini”. Mi piacciono». 6) Non le dà fastidio essere ricordata più per le pellicole leggere che per il teatro impegnato? «Assolutamente no, quei lavori non li rinnego. Hanno fatto parte del mio percorso». 7) Rapporto col sesso? «Buono». 8) Qualcuno che vorrebbe riabbracciare? «Tutti i grandi attori con i quali ho lavorato e dai quali ho imparato tanto. Vorrei ringraziarli». 9) Il cinema di adesso le piace? «Quando non ripiega su stesso diventando un circolino, sì. Però vorrei veder rivalutate le donne di una certa età». Ultimissima domanda: ha un sogno? «Come no: continuare con l’insegnamento e i laboratori e, chissà, magari tornare a fare qualcosa di interessante in cinema o in tv».
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