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Marina Berlusconi e il giusto allarme sull'informazione
Oggi 20-10-25, 10:08
Si parla tanto di responsabilità sociale dell’imprenditore, ma essa, prima che in atti di solidarietà o simili, va cercata nel far bene il proprio mestiere e nel confezionare “buoni prodotti”. Vale anche per gli editori. Non è l’editoria militante, quella che punta all’indottrinamento, a cambiare il mondo. Anzi, l’editore non deve proprio porsi questo compito. Il suo compito è quello di offrire strumenti per capire il mondo, per aumentare la nostra consapevolezza, per rafforzare il nostro spirito critico, per aiutare e promuovere la libertà e la democrazia in questo modo indiretto ma sicuramente più solido e duraturo.Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e Mondadori, di tutto ciò è convinta e da qualche anno si è proposto di realizzarlo con un marchio tutto suo, una costola della casa madre, una casa editrice che porta il nome di suo padre, cioè di colui che più di chiunque altro si è adoperato negli ultimi decenni per affermare, in un paese come il nostro che ne è refrattario, il valore della libertà. Ne ha parlato in una bella lettera al direttore del Corriere della Sera pubblicata ieri dal giornale in prima pagina, con l’occasione datale dall’uscita per i suoi tipi di tre volumi che si interrogano sul nostro presente ipertecnologico e iperinformatizzato, sul nostro mondo dominato da poche Big Tech più potenti e forti degli Stati, sull’impatto che tutto questo avrà sulle nostre vite e sui nostri posti di lavoro. E ovviamente sullo stesso mondo editoriale. Libri che affrontano il problema da punti diversi e che giungono a conclusioni opposte. Un omaggio al pluralismo, a quella “civiltà liberale” ove tutti sono ammessi se argomentano in buona fede le loro idee e se non vogliono escludere dal dibattito gli altri. Capire presuppone il mettere a confronto tesi, non offrirne di predeterminate e già pronte all’uso come fanno le forze illiberali, che oggi (come sempre forse) allignano soprattutto a sinistra. Capire significa porre domande e suscitare dubbi. Significa ascoltare più voci perché la verità, come ci hanno insegnato i maestri del liberalismo, non è mai da nessuna parte ed in ogni caso ha bisogno del confronto per rinsaldarsi e fortificarsi nelle nostre coscienze. Marina di tutto questo è ben consapevole, e questo le fa onore. Ed è consapevole della grossa e vera responsabilità che ha un editore. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43572937]] C’è tuttavia un fondo tragico che accompagna le sue parole, anche se forse di non immediata evidenza. Emerge quando sottolinea come le Big Tech non seguano le regole tradizionali, facciano «concorrenza sleale» a chi invece le segue pagando tasse e salvando posti di lavoro, quando chiede regole, ma da liberale non può non ammettere che «l’Europa spesso inciampa» perché le sue sono troppe e non giuste. Emerge quando osserva il legame sempre più stretto fra politica e Big Tech che ci porta a barattare la nostra comodità con il controllo dei nostri dati personali. Emerge nelle parole finali quando si chiede se i buoni libri avranno un futuro e risponde di non farsi soverchie illusioni. Una condizione psicologica comprensibilissima a cui però il futuro, imprevedibile come la libertà umana, potrà dare risposte inaspettate. L’importante è continuare a credere e lavorare per la libertà, con quell’ottimismo della volontà che proprio Silvio Berlusconi ci ha insegnato e di cui Marina è sicuramente all’altezza.
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