Mario Sechi: Benzina sul fuoco delle rivolte nelle periferie

In un classico ribaltamento da thriller i carabinieri che inseguivano Ramy ora sono inseguiti dalla magistratura. Non è un caso di guardie e ladri, ma di un'istituzione che indaga su singoli che fanno parte di un'altra istituzione e proprio per questo siamo di fronte a un caso delicatissimo. C'è l'obiettivo della verità, della giustizia giusta, ma contemporaneamente c'è in ballo anche l'integrità e la reputazione dell'Arma, perché ipotizzare che due agenti abbiano falsificato atti, documenti, al fine di depistare le indagini è un fatto grave e dunque va trattato con i guanti e il rispetto di tutti. Non aiuta in questo senso la repentina uscita della notizia dell'indagine, perché ciò che diventa notevole, a questo punto della storia, non è la verità (che arriverà, ne siamo certi) ma il processo sommario che inevitabilmente si aprirà con le solite scuole di pensiero: quella colpevolista e quella innocentista, quella che sostiene che Ramy sia una vittima e quella che è certa che siano i militari ad aver causato la sua morte e dunque debbano subire il processo. In entrambi i casi la condanna è preventiva, già eseguita, cosa che ovviamente danneggia le istituzioni di cui ho accennato prima, da una parte la procura e dall'altra i carabinieri. Non solo, la situazione già tesa nel quartiere Corvetto di Milano a questo punto lo diventerà ancora di più, perché chi nei giorni scorsi ha manifestato contro le forze dell'ordine avrà un motivo in più per farlo, anche se tutto è da verificare. Le fughe di notizie sono all'ordine del giorno, noi abbiamo il diritto e il dovere di pubblicare, l'ho ribadito anche ieri a Otto e mezzo, ma c'è chi ha l'obbligo della riservatezza e sarebbe interessante sapere a chi giova intaccare il prestigio dell'Arma. Non serve alle istituzioni, non serve alla giustizia, non serve alla verità, non serve agli italiani.

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